Vic
- 'The Lord of The Ring'
Di solito di un pilota che eccelle in un
particolare campo dell'automobilismo sportivo si dice che "è uno specialista".
Chi invece va bene un po' dappertutto è considerato versatile, ma difficilmente
possiede doti che lo portano a raggiungere l'eccellenza o su un circuito, o al
volante di una certa macchina.
Negli anni '50 o '60 gli "specialisti" erano divisi in due grandi classi: gli
"stradisti" ed i "piloti da circuito".
Difficile che un pilota appartenesse ad entrambe; secondo alcuni il solo
Stirling Moss aveva questa caratteristica.
Fra gli "stradisti" più forti vengono ricordati Umberto Maglioli, Giannino
Marzotto (secondo il conte Volpi di Misurata addirittura "il più grande
stradista di sempre" ), Piero Taruffi, Olivier Gendebien, Bracco e Clemente
Biondetti.
Erano piloti che vincevano (o figuravano bene) alla Mille Miglia, alla Carrera
Panamericana, alla Targa Florio, ma che raramente brillavano in Formula 1 o
nelle gare sui circuiti veloci.
Di solito era vero il viceversa per i "piloti da circuito" .
Lo stesso Juan Manuel Fangio ed anche Alberto Ascari, i più grandi della loro
epoca, avevano vinto la Carrera Panamericana o la Mille Miglia, ma non
riuscivano a dare il meglio di sé in quel tipo di gare.
Neppure i grandissimi della generazione successiva, Jim Clark e Jackye Stewart
su tutti, hanno fatto eccezione.
Solo Ickx, forse, è stato grande e avrebbe potuto essere vincente in tutti e due
i tipi di gara.
Vic Elford, invece, è stato uno specialista molto particolare, a modo suo uno
specialista con molte specialità.
Fortissimo nelle gare su strada come la Targa Florio, quasi imbattibile sui
circuiti impegnativi come il Ring, ha vinto anche il Rally di Montecarlo ed ha
lasciato il suo segno nella Can Am, domando un mostro come la Chaparral 2j sulla
pista bagnata del Glen, ed addirittura nelle gare delle Stock Cars americane
nelle quali nessun europeo si era mai cimentato con successo.
Solo in F1 non ha brillato : appena 13 Gran Premi, fra il 1968 e il 1971, prima
con la Cooper-BRM, poi con la McLaren privata del Team Crabbe, infine con la BRM
P160.
Miglior risultato il quarto posto, con la Cooper, sotto il diluvio al GP di
Francia del '68, dietro a Ickx,Surtees e Stewart, ma davanti a "piedi" come
Denis Hulme, Bruce Mc Laren e Chris Amon.
Nonostante fosse molto veloce quasi dappertutto, dai Rally agli "ovali"
americani, il circuito dove questo straordinario pilota da' il meglio di sè è
senz'altro il Nurburgring, il circuito più difficile, l'università del volante.
Tre vittorie alla 1000Km nel 1968, 1970 e 1971 sempre con la Porsche 908, con la
quale, nel 1969, chiude al terzo posto, imponendosi nel '70 e nel '71 anche
nella 500Km, valida per il Campionato Europeo Marche 2000.
La prima volta, con una Chevron B16 della scuderia spagnola Montjuich, precede
Merzario e Kinnunen con le Abarth ufficiali, la seconda, con una Lola T210 della
scuderia svizzera Filipinetti, batte Chris Craft con la Chevron ufficiale.
Sul circuito del "Ring", Vic Elford è semplicemente imbattibile.
Nel 1968 è pilota ufficiale Porsche quando, in coppia con Jo Siffert, porta la
sua Porsche 908 dalla 27ma posizione in griglia a vincere la corsa.
Quel giorno piove a tratti e la sua guida sensibile, tipica del rallista,
risulta l'arma vincente sul tormentato circuito tedesco.
L'anno dopo va ancora forte, ma , stavolta in coppia con Ahrens, si deve
accontentare del terzo posto.
Si adatta benissimo sia alla 907, col motore 2200, sia alla 908 col 3 litri,
guida la prima in agilità, sfruttandone le doti ineguagliate di maneggevolezza,
della seconda sfrutta al meglio l'ottimale rapporto fra potenza e agilità.
Per Vic non c'è differenza, passa con disnvoltura dalla 911 Gran Turismo, con la
quale diventa un mito, ai prototipi di 2 e 3 litri, fino alla mostruosa 917 da
4500cc.
Sulle curve ed i saliscendi degli oltre 22 Km del circuito tedesco Vic Elford
non mostra debolezze, non ha punti deboli: va fortissimo sia sul bagnato che
sull'asciutto, la sua guida è pulita e velocissima
Poi la Porsche si ritira dalle corse e lui, inglese purosangue, anzichè finire
nel Team di punta di John Wyer, corre prima per la Salzburg, poi per la Martini.
Nel 1970 vince in coppia con Ahrens, nel 1971 bissa il successo dividendo il
volante con Gerard Larrousse.
Sono due vittorie fantastiche, forse le più belle di una carriera che può
vantare anche il successo alla Targa Florio 1968, in coppia con Umberto
Maglioli, e alla 24 Ore di Daytona sempre nel 1968.
Ma la corsa forse migliore della sua carriera coincide con una sconfitta,
bruciante, una sconfitta che arriva nella maniera più brutta quando ormai il
successo sembrava a portata di mano.
Nel 1969 la Porsche vuole sbancare Le Mans e si presenta con la 917, la nuova
potentissima vettura che la casa di Stoccarda ha costruito quasi appositamente
per vincere la grande corsa francese.
Siffert, dopo averla collaudata, l'ha definita "instabile e pericolosa" ed ha
preferito la più affidabile 908, ma la 917 è, soprattutto, mostruosamente
potente dopo meno di un giro John Woolfe che guida l'unica 917 privata, paga con
la vita la sua inesperienza.
La versione a coda lunga è velocissima sulle Hounaudières, ma Elford sa che la
corsa non si deciderà che dopo 24 lunghe ore e risparmia al massimo la
meccanica.
La sua 917 bianca e blu domina la corsa, ma dopo sedici ore una perdita d'olio
mette KO l'altra 917 ufficiale, quella di Rolf Stommelen e Kurt Ahrens.
Vic Elford ed il suo compagno di squadra Attwood, amministrano al meglio il
mezzo anche se Vic stabilisce il nuovo record della pista in gara ad oltre 234
Km/h di media.
A meno di quattro ore dalla fine la frizione della Porsche comincia a slittare,
Elford amministra il vantaggio e cambia spesso ad orecchio, cosa che, con una
macchina come la 917 è quasi incredibile.
Elford perde progressivamente prima una marcia, poi un'altra.
Il bolide bianco mantiene la testa della corsa, ma alla 22ma ora il cambio si
rompe definitivamente ed lsogno di Vic Elford di essere il primo a vncere con la
Porsche a Le Mans svanisce nel nulla.
E "the Lord of The Ring" non avrà un'altra chance.
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