Alberto Ascari

di Donetella Biffignandi

 

Il primo annuncio fu fatto dall'altoparlante alle 10 e 22', quatttro minuti dopo l'incidente. "La macchina n. 3 é uscita di strada e si ritira. Così annuncia il posto di soccorso n. 3". Pochi istanti dopo la vettura n. 3, l'Alfa Romeo pilotata da Giuseppe Campari, passava veloce davanti alle tribune. Un sospiro di sollievo per tutti gli italiani che stavano assistendo al Grand Prix di Francia a Monthléry, quella tragica e afosa domenica 26 luglio del 1925, settant'anni fa.

Fu un sollievo che durò poco: perché, se la vettura n. 3 era appena passata, quella n. 8, guidata da Antonio Ascari, il trionfatore degli ultimi due gran premi, da cui ci si aspettava una vittoria senza incertezze, non giungeva. Ed era facile scambiare un otto con un tre, a macchina magari uscita di strada... Intanto l'altoparlante rettificava il suo errore. Era proprio la vettura n. 8 ad essersi ribaltata. Il pilota, ferito, sarebbe stato portato al posto di medicazione di Sant'Eutropio.

Forse le ferite erano lievi. Forse si trattava soltanto di un ennesimo episodio di quella "grande guigne", di quella immensa e immeritata sfortuna che, a capriccio suo ma con regolarità inesorabile, colpiva il pilota, e che sembrava avergli dato tregua soltanto nelle ultime due competizioni.

Al 40° giro , 17 giri dopo l'incidente, Campari, saldamente in testa, si arrestava ai box Alfa Romeo per il rifornimento. Ma, anziché ripartire di velocità per conservare il vantaggio, si toglieva il caschetto, gli occhiali, scendeva lentamente dalla macchina.

Fu quel ritiro l'annuncio di morte di uno tra i più grandi, e sfortunati, piloti italiani, perito in corsa a trentasette anni, la stessa età a cui cadrà suo figlio Alberto trent'anni più tardi, egli pure grandissimo pilota (Campione del Mondo nel 1952 e 1953).

Esistono ancora due fotografie che ritraggono insieme padre e figlio. In una il bambino Alberto, in braccio ad un parente, sembra godere degli applausi della folla tributati al padre per la bellissima vittoria a Monza, al Gran Premio d'Italia del 1924; nell'altra, forse di qualche mese prima, il bambino ha una mano appoggiata al cofano della vettura paterna, lo sguardo diritto e serio, in contrasto con il tondo viso infantile.

 

Forse la fama del figlio, che legò il suo nome alla Maserati, alla Lancia e soprattutto alla Ferrari, é rimasta più a lungo nel cuore degli appassionati. Più oscura, lontana nel tempo, faticosa e altrettanto tragica la carriera sportiva del padre. Nacque nel 1888 a Sorgà, piccolo comune della provincia di Verona, a pochi chilometri e pochi anni (quattro) di distanza dalla nascita di un altro grandissimo dell'automobilismo, Nuvolari. Già a tredici anni trovò lavoro a Milano, come aiutante meccanico nelle Officine Automobilistiche De Vecchi & C., e trascorse persino un anno in Brasile, per dirigervi insieme al fratello un'officina di vendita e riparazioni automobilistiche. Al termine della trasferta, la De Vecchi gli affidò il reparto riparazioni, creando una speciale officina accanto allo stabilimento di via Peschiera a Milano. Collaudatore meccanico, riparatore, perché no pilota, dovette pensare il giovane Antonio, stordito e inebriato dall'entusiasmo per le prime competizioni sportive. La prima occasione si presentò nel 1911: a Modena si organizzava la "Sei Giorni", e Ascari ottenne di parteciparvi con una De Vecchi, e di competere con lo stesso costruttore signor De Vecchi, accompagnato in corsa da Ugo Sivocci. Non combinò granché, ma si fece notare da Sivocci.

 

La seconda occasione si fece attendere ben otto anni: é la Parma - Poggio di Berceto del 1919, prima corsa italiana del dopoguerra. Poco si sa sull'attività di Ascari in questo periodo di guerra e difficoltà; era però riuscito a mettere le mani sulla  Fiat S 57/14 B che era stata progettata per il Gran Premio di Lione del 1914, e con questa vettura da 4500 cmc prese parte alla corsa. Fu subito vittoria, davanti ad Antonacci su Aquila Italiana, a Clerici su Bugatti, a Franchini su Alfa Romeo. Stabilì addirittura il nuovo record di salita, alla media oraria di 83 km. Compare per la prima volta il suo nome sui giornali, é definito il "recordsman" della giornata. Ecco il commento di "Motori Aero Cicli & Sports": "Il signor Antonio Ascari é un'egregia persona che nel commercio automobilistico milanese si é acquistata seria stima e molte simpatie, é appassionato automobilista, esperto conoscitore di meccanica, peritissimo ed intrepido guidatore. Possessore da alcuni anni di una vettura Fiat tipo Gran Prix che egli circonda di una predilezione gelosa, ma che adopera quotidianamente, allorché decise di concorrere alla Parma-Poggio di Berceto non fece altro che darvi una ripulita, cambiare la misura delle ruote e partire per Parma qualche giorno prina della corsa. Vinse quindi da solo e per suo merito, vinse senza alcun ritocco, malgrado i suoi cinque anni di lavoro, per la sua intima ed intatta eccellenza, come i pneumatici Pirelli vinsero per la loro inflessibile resistenza".

A quel momento doveva essersi già consumato il passaggio di Ascari dalla De Vecchi all'Alfa Romeo del Portello, e da tempo. E' curiosa perciò la lettera che M.A.C.S. pubblica sulla pagina successiva al resoconto sportivo, che figura essere scritta da Ascari stesso e indirizzata alla Nuova Fabbrica di Molle "Società Italiana Molle Acciaio De Vecchi", e in cui naturalmente parte del merito della vittoria viene attribuito all'ottimo funzionamento delle molle per valvole. Accanto alla lettera, una vistosa inserzione pubblicitaria della De Vecchi, per un "do ut des" tanto chiaro quanto candido.

 

Vaghe le notizie sul momento in cui Ascari entra all'Alfa. Si sa per certo che prende parte, sempre nell'ottobre 1919, alla Coppa della Consuma, gareggiando sulla stessa Fiat S 57, e vince una seconda volta, davanti a Meregalli su Nazzaro e a Clerici su Bugatti. E' la conferma di un talento eccezionale: ora occorre una vittoria importante, che dia la consacrazione definitiva. Ed é qui che prende il via, invece, una serie di circostanze incredibili, una "guigne" tanto inesorabile quanto immeritata, che conduce a ritiri, guasti, incidenti che sembrano non aver fine.

Targa Florio novembre 1919: Ascari, forte delle sue due vittorie, vi partecipa con la Fiat. La partenza é fulminea. Altrettanto fulmineo il disastro: al primo giro, nel tratto tra Caltavuturo e Polizzi, per uno slittamento sulla neve caduta da poco, il pilota perde il controllo, finisce in un fossato, ne viene estratto malconcio. La gara per lui é finita. La Targa sarà vinta da Boillot, francese, sulla francese  Peugeot "eppure in un certo senso - commenta M.A.C.S. - essa segna come tutte le altre Targhe che la hanno preceduta una vittoria italiana". Il "senso" in realtà non é spiegato; viene soltanto aggiunto che "l'unica vettura italiana della stessa razza e della stessa classe la Fiat da Grand Prix montata dal sig. Ascari, quella con cui la lotta si sarebbe combattuta alla pari e in cui legittimamente si sarebbe potuto parlare di vincitori e di vinti, fino dal primo giro é stata posta fuori gara da un pericoloso salto in cui il sig. Ascari e il meccanico sono rimasti feriti".

 

 

Ascari dunque continua a comparire nelle cronache come "il signor Ascari", gli altri piloti sono invece designati direttamente con il cognome, quasi a sottolineare una sua attività professionale non legata al campo sportivo. L'attività commerciale vera e propria per conto dell'Alfa Romeo é già ben certa nel 1920, come da pubblicità su "Motori Aero Cicli & Sports" ("Agente per le province di Milano Pavia Piacenza Antonio Ascari - Milano - via Castelvetro 3"). Le vendite in Italia della marca milanese erano infatti generalmente assegnate a piloti professionisti, Antonio Ascari per la Lombardia, Enzo Ferrari per l'Emilia. Il che tra l'altro non costituiva sempre una scelta felice, perché non era detto che  i piloti disponessero anche delle qualità richieste dal lavoro commerciale; inoltre, quasi sempre molto assorbiti da prove, gare e collaudi, delegavano ad altri l'attività dell'agenzia, e di loro rimaneva spesso soltanto il nome sull'insegna. Questo sistema comunque durò alcuni anni. Soltanto nel 1925 l'ingegner Romeo - come ci racconta Bigazzi nella sua storia del Portello - sollevò ufficialmente il problema dell'incompatibilità della doppia figura di pilota e venditore, durante una seduta del Consiglio di Amministrazione: "Quando il corridore diventa un trionfatore riesce impari la discussione finanziaria con il medesimo nella sua qualità di agente".

 

Nel 1920 le cronache registrano una sfortunata partecipazione al Circuito del Mugello, su Fiat. Ascari ha un incidente, rimane ferito, naturalmente si ritira.

Non fa parte della lista degli iscritti alla Targa Florio di quell'anno. La Parma - Poggio di Berceto del 1921 é invece la prima gara a cui Ascari partecipa con una vettura Alfa Romeo, e riesce persino a classificarsi quarto arrivato, compiendo il circuito in 37'45". Compare nella lista degli iscritti alla Targa Florio, su Alfa Romeo (d'ora in poi non correrà su nessun'altra vettura) ma, misteriosamente, la tabella dei tempi che "Rapiditas" ("Rivista illustrata delle riunioni sportive indette dall'Automobile Club di Sicilia dal 1914 al 1922", vol. IV) dispone per ogni gara non riporta alcun dato vicino al nome di Ascari. Evidentemente non é partito.

A leggere la cronaca di De Agostini ("Antonio e Alberto Ascari", Cesare De Agostini, Automobile Club d'Italia Libreria dell'automobile, 1968), il giorno della partenza, alle 6,30 del mattino, a Cerda, si aspetta ansiosamente l'arrivo di Ascari, che ha già detto che arriverà all'ultimo minuto. Ascari non compare. Passano i minuti, cresce il nervosismo. Finalmente giunge, ma per fare lo spettatore: l'ingranaggio di uno degli alberi a camme si é rotto, la partecipazione alla gara é impossibile.

Un paio di mesi dopo, ad agosto, come Vice Presidente dell'U.C.A.M. - Unione Ciclo Auto Moto Milano - é promotore, organizzatore e concorrente della I Coppa delle Alpi, un massacrante concorso di regolarità in cinque tappe, per oltre 2000 chilometri complessivi lungo tutto l'arco alpino italiano. A competere in una formula piuttosto complicata (classifica stabilita in base alla media rario di 48 km; in caso di ex aequo, sarebbe risultata vincitrice la vettura di minor cilindrata che avesse compiuto l'intero tragitto a cofano piombato) sono piloti della fama di Sivocci, Ferrari (co-equipiers di Ascari, già  allora capitano della Alfa Romeo), Campari, Minoia, Sailer, Rebuffo. Sivocci e Ferrari terminano rispettivamente 4° e 6°; la "vertiginosa marcia" di Ascari (La Stampa sportiva, 21 agosto 1921) termina invece all'ultima tappa, per un ribaltamento lungo la discesa di Madonna di Campiglio. Vincitrice é un'Itala 51 S sport guidata da Sandonnino.

 

Della Targa Florio 1922, vinta da Masetti su Mercedes, e che vede schierati piloti di fama come Lautenschlager, Campari, Neubauer, Salzer, Ceirano, Goux, Foresti, Rebuffo, Ferrari, Sivocci, Ascari ed altri  (la gara siciliana era a ragione ritenuta la corsa italiana di maggior prestigio) é interessante leggere il resoconto di Mario Morasso, riportato su "Rapiditas". "Ecco le Alfa Romeo che con Ascari in testa giungono una dopo l'altra al traguardo. Ascari con una splendida corsa, irruentemente, temerariamente combattuta, che lo addita come uno dei nostri più bei guidatori, attribuisce a sé e alla sua Alfa Romeo il vanto di campione dell'industria italiana. In uno slancio riconoscente, mentre tuona contro la sfortuna che si é accanita contro le sue gomme, obbligandolo a cambiare in istrada non so quante ruote, egli bacia riconoscente la generosa vettura, che si é prodigata inesauribilmente e che si é classificata prima di tutte le macchine italiane". Difatti Ascari, che aveva scelto di gareggiare su un'Alfa ES sport 20/30 HP, praticamente un modello da turismo, inferiore già in partenza alle vetture da grand prix degli avversari, era stato in testa per parecchi giri. Alle ultime battute, fora. Cambia la ruota, riparte. Fora di nuova. Riparte. Alla terza foratura, Giulio Ramponi, il meccanico, per fare più in fretta riesce addirittura a sollevare la vettura senza il cric (sforzo da guinness!). La ruota é cambiata per l'ennesima volta, ma la vittoria assoluta é sfumata. Si classificheranno quarti, dopo Masetti, Goux su Ballot, Foresti su Ballot.

 

 

E arriviamo al 1923. Finora la squadra corse Alfa Romeo aveva gareggiato su 40-60 HP prebelliche oppure su 20-30 ES sport. Per il 1923 venne invece allestita una versione speciale della RL, predisposta appositamente per la Targa Florio.  Il risultato é ottimo: Sivocci é primo, Masetti - che ha abbandonato la Mercedes - quarto, Ascari...sarebbe secondo, se un guasto non lo immobilizzasse senza possibilità di recupero a 200 metri, non di più, dal traguardo.

Il nuovo modello RL é la prova più tangibile di un diverso, e maggiore, impegno finanziario ed organizzativo con cui l'Alfa Romeo affrontò la stagione di corse del 1923. La "Gazzetta dello Sport" ed altre pubblicazioni sportive traboccano degli annunci "a piena pagina" che la casa milanese faceva apparire all'indomani di ogni vittoria. Occorreva però, per porsi al rango di alre grandi marche europee, compiere l'ultimo passo: partecipare, e se possibile vincere, ai Gran Premi, gli unici a garantire notorietà davvero internazionale. Ecco perciò la decisione di prendere parte al Gran Premio d'Italia, in programma all'autodromo di Monza (inaugurato l'anno precedente) nel settembre, con tre vetture GPR, progettate da Merosi. Si tratta di vetture equipaggiate con un motore di 95 CV a 5500 giri/minuto; Ascari fa registrare un tempo sul giro di 3'58", pari a 151 km/h. Ma c'é tempo soltanto per qualche giro in prova. Durante l'ultimo di questi, Ugo Sivocci si uccide. L'Alfa Romeo si ritira per lutto.

 

Il 1924 é l'anno della svolta. Dal settembre dell'anno prima Vittorio Jano, fino ad allora progettista presso l'Ufficio tecnico della Fiat, era entrato all'Alfa. In un primo tempo si limitò  a sovralimentare la P1, ottenendo un incremento di potenza e di velocità. Già nel marzo 11924 iniziano le prove al banco del motore P2, e a maggio si provarono su strada i primi prototipi. Erano passati appena sei mesi dall'inizio del progetto. L'esordio fu deciso al II Circuito di Cremona, che si correva a giugno. "Il Circuito di Cremona" - scrive "Auto Italiana" - segna una nuova tappa dell'ascendente cammino automobilistico". Gli aggettivi usati per descrivere l'impresa di Ascari vanno da "sbalorditivo" a "grandioso" a "eccezionale". Ecco cos'era successo. "La due litri Alfa Romeo - ricordiamo infatti che nei gran premi di quell'anno vigeva la formula dei due litri di cilindrata - sotto la guida di Antonio Ascari ha compiuto i dieci chilometri in 3'4"3/5 alla media oraria di 195,016 km/h. Inoltre la stessa macchina e lo stesso guidatore compiono i chilometri 321,864 del percorso totale, pari a 200 miglia, in ore 2,2'3"4/5 alla media di km 158,211 realizzando su di un giro dell'intero circuito la media di km 162, 296... L'Alfa Romeo ha consentito al gagliardo guidatore milanese di compiere il prodigio. L'Alfa Romeo, la relativamente giovane macchina lombarda, ha saputo dare al biondo, taurino pilota la possibilità di incidere, in una aurea pagina della storia automobilistica mondiale, una cifra dalla quale oggi invero s'irradia una vivida luce destinata ad illuminare l'avvenire!".

Forse il linguaggio era un po' iperbolico, ma la velocità di 195 km/h resta comunque un record, (Ascari staccò il secondo arrivato di 54 minuti) e lasciava soprattutto intravvedere rosei destini per la vettura che ne era stata protagonista, la P2.

Dimentichiamo l'ennesima sfortunata partecipazione alla Targa Florio di quell'anno, per non dover descrivere ancora la stessa scena: Ascari che guida la corsa fino all'ultimo giro, la volata finale...e a 200 metri dal traguardo il guasto che vanifica sforzi, capacità ed eroismi. Si avvicinava invece la data del gran Premio d'Europa, quell'anno programmato a Lione. Era la prima competizione internazionale sia per Ascari sia per la P2. Per non rischiare troppo, l'Ing. Romeo, patron dell'Alfa, decise una tattica di attesa. Ad Ascari, capitano della squadra, fu dato l'ordine di seguire come ombra colui che fosse in testa, fino al momento di sferrare l'offensiva. E infatti dapprima Ascari tallonò Lee Guinness, poi Bordino, finché prese risolutamente la testa mantenendola per quasi tutta la corsa. Quasi, appunto. Mancavano soltanto tre giri, quando l'altoparlante annunciò: "Numéro 10 (Campari) vire au Pont-Rompu, numéro 3 (Ascari) parait ralentir..." Per la folla francese, che vedeva il suo campione Divo dietro Campari, a un passo perciò dalla vittoria, l'entusiasmo fu indescrivibile. Altrettando indicibile l'angoscia ai box Alfa Romeo, che si sciolse soltanto quando fu chiaro che Campari sarebbe riuscito a mantenere il suo vantaggio su Divo e a vincere la gara. Per Ascari la partita era irrimediabilmente perduta ancora una volta, per la rottura del comando anticipo magnete. Dovette tornarsene a piedi ai box, dove ebbe persino una crisi di pianto (come dargli torto, d'altronde).

 

 

Di lì a poco, finalmente, la prima, grande, vittoria. Fu al Gran Premio d'Italia a Monza, nell'ottobre. Quattro Alfa Romeo ai primi quattro posti; Ascari, il vincitore, batteva il record sul giro con 3'34", record che durerà fino al 1931, un tempo inferiore di 12 secondi rispetto a quello registrato l'anno prima da Salamano su Fiat e di 24 secondi rispetto al tempo dello stesso Ascari sulla Alfa GPR. Questa corsa passò alla storia per essere stata quella in cui gli stessi organizzatori ordinarono ad un pilota, che naturalmente era Ascari, di moderare la sua velocità. Lo fecero addirittura con un fonogramma consegnato al posto di rifornimento dell'Alfa, che diceva: "Se Ascari continua a fare curva grande e curvetta in modo pericoloso per sé e per gli altri, dovrei essere costretto a fermarlo. Firmato: Mercanti" (commissario generale e direttore della corsa).

 

Per la stagione 1925 le competizioni internazionali erano tre: i gran premi di Europa a Spa (Belgio), di Francia a Monthléry e d'Italia a Monza. Scontata la partecipazione dell'Alfa Romeo.

A Spa, l'avversario più temibile sembrava dovesse essere la Delage, con le sue dodici cilindri. A Monthléry, qualche settimana prima, Divo aveva girato a 218 km/h, una velocità strabiliante. Pure l'ingegner Romeo puntò su una tattica aggressiva e ad Ascari, che non chiedeva di meglio, fu dato l'incarico di tirare la corsa. Tattica che si rivelò vincente: gli avversari francesi furono sbaragliati, i loro motori cedettero uno dopo l'altro lungo gli 804 chilometri di percorso pieno di curve e di pendenze, con margini dalle pessime condizioni, tanto da costringere i piloti a correre al centro della già stretta pista. Ascari e Campari fecero una gara regolarissima, cogliendo una vittoria (si classificarono al 1° e al 2° posto) che entusiasmò l'intera Italia. La media di Ascari (131 km/h sul giro e quasi 120 sul totale degli 804) fu considerata sorprendente. Particolare curioso: le vetture Alfa Romeo utilizzavano un carburante chiamato elcosina, privo di petrolio e a base di alcol.

 

A Monthléry, si sapeva già che le macchine francesi avrebbero giocato il tutto e per tutto per la rivincita. La Sunbeam allineava le stesse vetture già battute a Lione; la Bugatti era ancora in fase di collaudo della sua Tipo 35. Più di ogni altro fattore, diventava esiziale la capacità di resistenza alla fatica dei piloti: i chilometri di gara erano mille, dunque una corsa interminabile e severissima. Alla partenza la macchina di Campari, che secondo gli ordini di scuderia avrebbe dovuto condurre la gara, ha delle difficoltà. Ascari scatta subito al comando, lasciandosi dietro Delage, Masetti su Sunbeam, le Bugatti. Compiuto un quarto del percorso, si ferma ai box per il rifornimento. Gli viene detto di moderare l'andatura, visto il vantaggio acquisito. Cosa che Ascari, naturalmente, non fa.

"Alla curva a grande raggio e in leggerissima ascesa, posta alla fine del 9° chilometro, Ascari toccò il mozzo della ruota anteriore nella inutile ed insidiosa palizzata dal colore troppo simile a quello del terreno tutto intorno. Tentò subito, l'abilissimo pilota, di raddrizzare la vettura che - per la nuova direzione - leggermente toccò con la ruota posteriore. Onde, altro lieve colpo di sterzo. E intanto, nel corso dei due secondi - tanti ne occorrono per percorrere 100 metri alla velocità presunta di 180 km/h - la staccionata divelta si era venuta ammassando davanti all'assale della macchina sicché questa...piroettava, usciva di strada, sbatteva in aria il pilota, che ricadeva - inerte - sulla pista" (Lando Ferretti, Auto Italiana, 31 luglio 1925).

Ascari rimase a lungo, forse mezz'ora, disteso sul bordo della pista. Neanche un medico - uno spettatore italiano - riuscì ad avvicinarsi. Soltanto il dottore del servizio sanitario del circuito fu autorizzato a prestargli i primi soccorsi. Adagiato sull'ambulanza, spirava ad appena un chilometro dal circuito.

 

Non c'é dubbio che Ascari abbia perso il controllo della macchina a causa dell'urto con la staccionata. Ma perché quell'urto? Alcuni testimoni avevano visto, nei due giri precedenti, oscillare la vettura su quella stessa curva, con conseguente uscita in grande sovrasterzo (da notare che la curva girava a sinistra e la macchina era una biposto con volante a destra). Si pensò ad un colpo di vento. Si ipotizzò una anormale stanchezza fisica di Ascari (ma si era soltanto al 23° giro su 80). Certo a 180 km/h, con un volante a destra e una curva a sinistra la possibilità da parte del pilota di misurare la distanza della ruota anteriore sinistra dallo steccato non é grande, per non dire ridottissima. Disse un suo compagno di squadra: "Noi lo chiamavamo affettuosamente "il maestro"...era un carattere fortissimo, era un uomo dall'attività eccezionale e di vero coraggio...Come pilota Antonio Ascari era estremamente audace e di temperamento improvvisatore; un garibaldino, come noi diciamo in gergo di quei corridori che antepongono il coraggio e la carica emotiva allo studio scrupoloso del percorso, che le curve le indovinano ogni volta, cercando giro per giro di avvicinarsi il più possibile ai limiti di aderenza".* Quel compagno di squadra era Enzo Ferrari. E nelle sue poche parole, affettuose e precise, é racchiusa tutta la grandezza, e tutto il dramma, di Ascari.

* "Piloti, che gente", Enzo Ferrari. Conti Editore, III edizione, 1985.

 

Donatella Biffignandi