La storia dell'Alfa Romeo

 

La storia dell'Alfa inizia nel 1907, anno in cui la multinazionale Darracq avvia a Milano un piccolo stabilimento al Portello, dove oggi è situata la zona Fiera, per la costruzione di modelli già prodotti in Francia.
Ma è solo nel 1909 che un gruppo di finanzieri lombardi rileva gli impianti della Società Italiana Automobili Darracq dando vita, il 1° gennaio del 1910, al primo modello, la 24 HP, progettato dal geometra Giuseppe Merosi. Sei mesi dopo, e precisamente il 24 giugno 1911 l’impresa adotta la nuova ragione sociale di A.L.F.A.: Anonima Lombarda Fabbrica Automobili.
Quale marchio di fabbrica i dirigenti della società scelgono due noti emblemi della città di Milano: la croce rossa dello stendardo comunale e il Biscione visconteo.
E’ il 1911. L’Italia è un Paese che ha trovato la propria unità da appena 41 anni, e già si appresta ad uno scontro con la Turchia per il possesso della Libia. Ma ciò non sembra impensierire lo spericolato ed avventuroso mondo dell’automobile, che anzi nel mese di maggio si sfida sulle strade della Sicilia in una competizione lunga 148 chilometri ed inventata da Vincenzo Florio: la Targa Florio. Fra gli altri partecipanti, al nastro di partenza troviamo due 24 HP guidate da Franchini e Ronzoni.
Sono anni, questi, in cui l’ALFA accumula esperienza. Ogni tanto vince, come nel caso del secondo posto di Campari nella Parma–Bercelo del 1921 a bordo di una 40-60 HP, ogni tanto raccoglie qualche delusione, come i tre ritiri nell’edizione del 1919 dalla stessa Targa Florio.
Nel frattempo, però, succede un fatto. La produzione, che nel 1913 aveva superato le 200 vetture l’anno, ha una forte impennata all’inizio della prima guerra mondiale per le consistenti commesse militari che monopolizzeranno l’intero potenziale fino al 1919.
La costruzione di gruppi elettrogeni, motocompressori trainati e semoventi, ambulanze allestite sul telaio 20-30 HP richiede l’impiego di 300 operai e, soprattutto, continui ricorsi al credito. Tanto che nel dicembre del 1915 la Banca di Sconto, detentrice della maggioranza del pacchetto azionario A.L.F.A ne passa il controllo a un imprenditore napoletano che svolge già molteplici attività nel settore meccanico: l’ingegner Nicola Romeo.
Nel 1918 l’ A.L.F.A confluisce nella S.A. Italiana ing. Nicola Romeo & C., e a partire dal 1919 sui radiatori delle vetture appare per la prima volta il marchio con la scritta: ALFA - ROMEO MILANO.
A partire dai primi anni Venti l'Alfa Romeo diventa l'asso pigliatutto delle più importanti competizioni dell'epoca.
Nel 1920 Campari vince al Mugello e raddoppia l'anno seguente. Nel 1923 lo squadrone composto da Ascari, Masetti, Razzanti e Sivocci trionfa a Cremona, al Mugello, alla Coppa Ciano e alla Targa Florio (da questo momento, la carrozzeria delle Alfa Romeo sfoggerà il quadrifoglio verde in campo bianco). Mentre un giovane pilota destinato a diventare famoso, Enzo Ferrari, s'impone sul Circuito del Savio.
Nel 1924 gli otto cilindri in linea sovralimentati della P2 danno la vittoria a Campari nel GP d'Europa e ad Ascari nel GP d'Italia.
Nel 1925, la Casa del Portello si aggiudica il primo Campionato del Mondo. Lo conquista, a Monza, Brilli Peri.
Antonio Ascari vince a Spa, in Belgio, il GP d'Europa. Il pilota milanese, che ha 37 anni, morirà nel settembre dello stesso anno uscendo di pista sull'asfalto bagnato del GP di Francia, a Montlhery.
L'esigenza commerciale di una partecipazione continua alle grandi prove internazionali spinge Romeo a creare un settore separato per la progettazione delle vetture da Gran Premio e la loro assistenza. Mentre Merosi continua a dirigere la produzione di serie, a quello che doveva diventare un vero e proprio reparto corse a gestione indipendente viene assicurata, grazie alla mediazione di Enzo Ferrari (allora pilota dell'Alfa Romeo), la collaborazione di Vittorio Jano. Fautore della sovralimentazione e delle piccole cilindrate, Jano ottiene un memorabile successo. Dopo una successione di esaltanti vittorie nel 1924, il suo primo progetto, la vettura da Gran Premio P2, assicura all'Alfa Romeo il primo Campionato del Mondo nel 1925.
Per sfruttare commercialmente i successi della P2 Jano prepara in pochi mesi una vettura destinata a essere un caposaldo della storia della Casa. Il nuovo modello, denominato 6C 1500, viene presentato, nell'aprile del 1925, alla Fiera Campionaria di Milano. Il successo è enorme, non solo in Italia ma anche all'estero.
Purtroppo l'azienda si trova, suo malgrado, coinvolta nella crisi di un gruppo di banche, crisi che comporta un profondo mutamento dell'assetto societario. Lo stesso Nicola Romeo viene sostituito nel suo incarico di presidente dal direttore del Corriere della Sera Ugo Ojetti.
I mutamenti al vertice della Società si traducono, in un rinnovato impegno alla partecipazione alle corse di massimo livello (soprattutto per motivi pubblicitari) e all'impostazione di una nuova serie di vetture che fanno perno sulla 6C 1500, alla quale viene aggiunta la sigla NR in omaggio a Nicola Romeo. Proprio da questa fortunata vettura Jano deriva, nel 1929, la 6C 1750, ottenuta, in pratica, con un semplice aumento di cilindrata che serve a conseguire una maggiore elasticità di funzionamento. Utilizzata in corsa, la 6C 1750 si dimostra una vettura vincente.
Nel 1930 l'Alfa Romeo vince nuovamente la Targa Florio con Achille Varzi in una corsa epica, durante la quale, prima strappa via la ruota di scorta per ridurre il peso e poi taglia il traguardo con le fiamme (alimentate da una perdita di benzina) che gli lambiscono il collo. Da quel momento in poi, molti proveranno a contrastare il dominio assoluto delle ALFA ROMEO, ma inutilmente. Per sei anni la Targa andrà sempre alla Casa del Portello.
Nel 1931 con Tazio Nuvolari sulla 8C 2300; nel 1932 di nuovo con il Mantovano volante alla guida della stessa macchina; nel 1933 con Brivio; nel 1934 con Achille Varzi; nel 1935 ancora con Brivio.
Nel 1931 l'IRI ha intanto assunto il controllo dell'azienda, decidendo nel contempo il ritiro dalle competizioni. La difesa dei suoi colori viene affidata a un suo stretto collaboratore, a quell'Enzo Ferrari destinato a diventare, a partire dagli anni Cinquanta, sinonimo di vetture sportive di altissime prestazioni. Nel 1929, dopo un discreto passato di pilota, aveva fondato a Modena la Scuderia Ferrari, un'organizzazione che preparava le Alfa Romeo per i piloti privati. Proprio nella sua veste di 'difensore d'ufficio' dei colori della Marca milanese, Ferrari cerca di fronteggiare al meglio l'agguerrita concorrenza prima della Maserati 8CM, poi delle varie Mercedes e Auto Union.
Alla fine del conflitto mondiale, l'Alfa Romeo si ritrova con gli stabilimenti gravemente danneggiati dai massicci bombardamenti alleati. Per rilanciare sui mercato il nome Alfa Romeo, viene deciso il rientro nelle competizioni sportive. Nasce il Campionato del mondo di Formula 1 e l'Alfa Romeo conquista il primo titolo nel 1950 con Nino Farina e quello dell'anno successivo, il 1951, con l'argentino Juan Manuel Fangio. La prima stagione iridata è caratterizzata dall'en plein messo a segno dalla Casa milanese, che vince tutti i Gran Premi in calendario ad esclusione di Indianapolis, cui però i team europei non partecipavano. L'arma formidabile che permitte all'Alfa l'exploit del 1950, è la «158», meglio nota come «Alfetta», cui segue la «159» - naturale evoluzione della macchina campione del mondo - con la quale la Casa del Portello disputa il mondiale 1951. Ma quello è l'ultimo anno in F1 dell'Alfa: paga dei successi ottenuti, la Casa milanese decide infatti di abbandonare le competizioni per capitalizzare i risultati ottenuti. Una decisione cui contribuisce l'evidente crescita che sta caratterizzando un'altra scuderia: la Ferari. Che dimostra appunto il suo potenziale vincendo il mondiale 1952, e ripetendosi in quello successivo con Alberto Ascari.
Fino al 1976, non si sente più parlare di Alfa Romeo in F1, finché, in questa stagione appunto, la Casa del Biscione fornisce i suoi dodici cilindri piatti alla Brabham, riuscendo a spingerla alla vittoria in due occasioni nel 1978 con Niki Lauda. Ma l'Alfa sta pensando a ben altro che a una sola fornitura motoristica: nel 1979 debutta infatti la monoposto siglata «177», dotata di motore boxer 12 cilindri. A pilotarla viene chiamato Bruno Giacomelli, che l'anno prima aveva dominato in maniera clamorosa il campionato europeo di F2 con la March. Dal Gran Premio d'Italia, al pilota bresciano si affianca Vittorio Brambilla.
Alla prima vettura segue la «179» e nel 1980 Vittorio Brambilla viene sostituito da Patrick Depailler, sul quale l'Alfa conta molto per le sue acclamate doti di collaudatore. I maggiori difetti della macchina risiedono in un peso elevato dovuto non solo al telaio, ma anche a un motore che per esprimere tutta la sua potenza (520 CV a 12.400 giri) ha bisogno di «bere» molta benzina. Ma Depailler è certo di riuscire a sgrezzare la «179» e intensifica i test. In uno di questi, sul circuito di Hockenheim, in preparazione del Gran Premio di Germania, il pilota francese esce però di strada per ragioni che sono rimaste misteriose (come spesso accade nelle corse) schiantandosi in un terribile impatto. Bruno Giacomelli resta solo, e nel Gran Premio che si disputa nove giorni dopo, raccoglie un quinto posto che, unito allo stesso risultato ottenuto in Argentina, porta a quattro i punti conquistati dall'Alfa nell'intera stagione. Sul finire dell'anno, Giacomelli mostra il valore di questa vettura, realizzando ottimi tempi in prova e addirittura la pole position a Watkins Glen: performance che però non trovano poi riscontro in corsa.
C'è quindi da lavorare sull'affidabilità, partendo da una base di prestazioni ottima: per la stagione successiva l'Alfa immagina ben altre situazioni nel mondiale di quelle che invece si produrranno: Mario Andretti riuscirà infatti a raccogliere solo un quarto posto a Long Beach, per la restante metà della stagione si accumulano delusioni su delusioni. Alla base c'è anche il fatto che la «179 C» risente più di altre monoposto del divieto delle «minigonne», una norma che ha portato i tecnici di Arese a modificare la conformazione aerodinamica della vettura. Come nell'anno precedente, anche in questo 1981, Giacomelli riusce a far alzare nuovamente la testa all'Alfa proprio sul finire della stagione. In quella successiva, Andrea De Cesaris sostituisce Mario Andretti, ma la nuova «182» non riusce a raccogliere punti fino al Gran Premio di Montecarlo, dove una corsa che ridotta ad una vera e propria lotteria a causa degli scrosci di pioggia e delle numerosissime uscite di pista, assegna al pilota romano il podio con il terzo posto. Mentre il motore 8 cilindri turbo viene collaudato sulla pista del Balocco da Giorgio Francia, Giacomelli e De Cesaris combattono col 12 cilindri ormai superato rispetto alle motorizzazioni turbo della Ferrari  e della Renault. Anche il telaio, disegnato da Ducarouge, non è all'altezza della situazione: la stagione si chiude così col decimo posto nel mondiale costruttori, evidenziando una situazione difficile nel team sia a livello tecnico sia gestionale. In conseguenza di ciò, Ettore Massacesi, presidente dell'Alfa Romeo, decide di cedere tutto il materiale all'Euroracing di Pavanello, che avrebbe potuto contare sulla fornitura dei motori turbo 8 cilindri e sull'assistenza tecnica dell'Autodelta. L'avventura Alfa sotto queste insegne prosegue fino al 1985, quando si conclude definitivamente, mentre i motori verranno forniti all'Osella fino al 1987.

 

Giuseppe Merosi, progettista della 24 Hp, primo modello ad uscire dall'impianto dell'Anonima Lombarda

La 40-60 Hp di Nino Franchini prima della partenza della Parma - Berceto del 1913: si classificherà 2° assoluta

 

L'ingegnere napoletano Nicola Romeo con Antonio Ascari a Monza, prima del G.P. d'Italia 1924

Le 40-60 HP partecipanti alla Targa Florio del 1920. Al volante, da sinistra, Giuseppe Campari, Enzo Ferrari e Giulio Ramponi