Mercedes Benz 300 SL 

(Vincitrice della Targa Florio nel 1955 con Moss e Collins)

“Nata come prototipo da competizione nel 1952, la 300 SL, dopo due stagioni colme di successi venne destinata alla produzione in serie nel 1954. Con la sua linea tondeggiante, con l’originalità di alcune soluzioni, con la sua espressione di bellezza e di plastica potenza, divenne immediatamente il pezzo di maggior pregio di tutta la gamma Mercedes e fu per diversi anni una delle più ambite e prestigiose vetture del mondo”

La famosa ala di gabbiano. Willy Mairesse conduce alla vittoria la sua coup SL nel rally Liegi-Roma-Liegi del 1956. Le famose portiere incernierate sul tetto rendevano, come si può notare, piuttosto difficoltoso l'accesso all'abitacolo. L'interno della spider era elegante e di buon gusto, benchè il cruscotto mantenesse il suo aspetto americano.
Stirling Moss e Denis Jenkinson a bordo della 300 SRL, durante famosa Mille Miglia del '55. Il 6 cilindri in linea e la sua alimentazione a iniezione occupavano tutto il vano anteriore. Il motore erogava una potenza di 240 CV.
La gamma della 300 SRL coupè. Da sinistra a destra: la 300 SRL, la versione di serie con il suo prototipo, la vettura da competizione del 1952. L'ultima Spider 300 SL uscita dalla fabbrica nella primavera del 1963. Le portiere tradizionali e il predellino basso davano alla spider una linea piuttosto convenzionale. Il cruscotto di stile americano dell'Ala di Gabbiano era fornito di una strumentazione completa. La classica 300 SL coupè, nota come 'Ala di Gabbiano', in una versione del 1955.

Orgoglio del Terzo Reich, dominatrice delle principali corse degli anni Trenta, padrona della tecnologia motoristica più avanzata, la Daimler Benz (più nota in Italia con il nome commerciale di Mercedes) uscì dalla follia bellica praticamente distrutta. I suoi stabilimenti di Stoccarda e di Sindelfingen erano ormai ridotti a cumuli di macerie. Per di più, tutti i suoi più valenti tecnici, quei meccanici che, nell’anteguerra, avevano contribuito a far diventare le mitiche W 163 pressoché imbattibili, erano stati spazzati via dalla guerra.

Anche se costretti per mesi a una dura lotta per la pura sopravvivenza, i tedeschi non persero la loro capacità organizzativa e la voglia di riemergere, soprattutto per dimenticare gli orrori del terribile conflitto. Per quanto riguarda la Mercedes, la produzione venne ripresa alla fine de! 1946: dalle linee di produzione, rabberciate alla meglio, uscirono alcune vetture del tipo 170. Si trattava della nota limousine già proposta tra il 1936 e il 1941. Nonostante la relativa anzianità di progettazione e la sua destinazione economica, la 170 V era ancora una vettura validissima e non tradiva certo quello spirito di eccellenza qualitativa che aveva contraddistinto tutte le Mercedes d’anteguerra. Non era un’auto di gran lusso, ma nel contesto economico dell’Europa postbellica poteva configurarsi come una vettura di prestigio.

Negli anni ‘47 e ‘48 la produzione della casa di Stoccarda aumentò e si diversificò. A questo punto, si ripropose la necessità di ripropagandare il prodotto Mercedes al di fuori dei confini nazionali, obiettivo non facile in un’Europa all’inizio della ricostruzione.

I responsabili della Mercedes pensarono che il modo migliore per attrarre su di sé l’attenzione consistesse nel costruire un’auto in grado di competere alla pari o, addirittura, di battere il meglio dell’automobilismo mondiale. E il meglio, in quel momento, era rappresentato dai sofisticati modelli inglesi e dalle agili e veloci vetture italiane (Alfa Romeo, Ferrari, Maserati) che dominavano in gare che richiamavano l’attenzione e l’entusiasmo di milioni di appassiona ti: Mille Miglia, Targa Florio, Le Mans, Carrera Messicana. Una vittoria in una so la di queste manifestazioni sarebbe valsa più di una campagna pubblicitaria.

Consapevoli della difficoltà dell’impresa, i responsabili della casa tedesca approntarono uno speciale e riservato ufficio studi affidato a un tecnico di indubbie qualità, Rudolph Uhlenhaut. Dovendo approntare il nuovo modello nel più breve tempo possibile e dovendo fare i conti con una situazione finanziaria non ancora florida, Uhlenhaut pensò di utilizzare componenti meccanici già normalmente in produzione. Tutto questo avrebbe condizionato il pro getto ma avrebbe accelerato i tempi di produzione e semplificato la sperimentazione.

Nell’aprile del 1951, la Casa di Stoccar da aveva presentato la 220 (o W 187) e la 300 (o W 186), due modelli che, da un lato, videro il ritorno della Daimler-Benz alle vetture di lusso e di rappresentanza, e, dall’altro, costituirono gli ultimi esempi di linea austera legata ai dettami stilistici d’anteguerra. La più grande e costosa 300 era equipaggiata con un motore a 6 cilindri in linea in grado di erogare 115 CV a 4600 giri/min.

Uhlenhaut, dopo aver disegnato un ardito ed elaborato telaio di tipo reticolare in tubi d’acciaio di piccolo diametro, dal peso molto contenuto (solo 50 kg), si pose il problema di rendere competitivo il 6 cilindri di 3 litri montato sulla 300 berlina. I 115 CV erano davvero pochi per poter sperare di battere le varie Ferrari e Maserati!

Una radicale e minuziosa elaborazione (ridefinizione della camera di scoppio, 3 carburatori a doppio corpo, lubrificazione a carter secco, adozione di un nuovo albe ro di distribuzione e di nuovi collettori di aspirazione e di scarico) permise di raggiungere in breve il tetto dei 175 CV a 5200 giri/min.

A questo punto si trattò di ‘vestire’ convenientemente il modello, per ora noto con la sigla di progetto W 194. La struttura tubolare disegnata da Uhlenhaut imponeva una carrozzeria aerodinamica dalla linea piuttosto tondeggiante, con sezione frontale piuttosto ridotta. Tra l’altro, proprio per migliorare l’aerodinamica il moto re venne montato inclinato di 45 Il parti colare tipo di telaio, però, impediva l’adozione di portiere tradizionali: per questo vennero ideate le famose porte incernierate sul tetto che si aprivano come ali di gabbiano. E così venne soprannominata la vet tura dagli appassionati.

Nel novembre del 1951 la W 194 era pronta e, due mesi più tardi, la Mercedes annunciava il suo ritorno alle corse con questa vettura, che venne chiamata ufficialmente 300 SL.

Il debutto avvenne alla 19 Mille Miglia (3-4 maggio 1952). Alla grande classica vennero iscritte tre 300 SL per gli equi paggi composti da Caracciola (che aveva già vinto questa gara ventun anni prima al volante di una SSKL) e Knurrle, Lang/ Grupp e Kling/Klcnk.

Come era nelle abitudini di Alfred Neubauer, l’inflessibile direttore sportivo della Mercedes, nulla venne lasciato al caso: nei giorni che precedettero la gara venne mo strato innumerevoli volte ai piloti il film dell’intero tracciato della Mille Miglia, metro per metro. Nonostante questo, la rossa Ferrari di Giovanni Bracco riuscì a battere lo squadrone tedesco, che dovette accontentarsi del 20 e 4 posto (Lang, a causa di un sorpasso errato, era uscito di strada dopo 300 km). Fu l’unica sconfitta subita nel 1952 dalla 300 SL.

Alla sconfitta alla Mille Miglia seguirono le vittorie al G P di Berna. alla 24 Ore di Le Mans, al Grand Jubilee Prize del Nurburgring e alla 3 Carrera Messicana, gara che, in pratica, concluse la breve carriera agonistica ufficiale della 300 SL.

I più impressionati da queste importanti vittorie furono gli americani, da sempre al fascinati dalle sportive europee. Fu proprio l’importatore locale della Mercedes, Max Hoflman (che aveva alle spalle un discreto passato di pilota), a convincere il direttore generale della Casa tedesca, Fritz Konecke, a sfruttare convenientemente la pubblicità derivata dai successi sporti i. Per dar maggior corpo alle sue argomentazioni, fece vedere un ordine per mille vetture che i clienti avevano sottoscritto a ‘scatola chiusa’. La proposta era troppo allettante per noti essere presa in considerazione, e, nonostante l’opposizione del capo dei tecnici Fritz Nallinger, venne accettata.

Il progetto fu definito immediatamente: la nuova vettura avrebbe dovuto essere una replica del modello sportivo, di cui avrebbe ereditato anche il nome. La 300 SL di serie venne presentata il 6 febbraio 1954 all’International Motor Sports Show di New York.

Pur derivando dalla versione da competizione, la nuova 300 SL presentava importanti modifiche. Il motore, ad esempio, pur essendo concettualmente uguale al 6 cilindri in linea della versione sportiva, si differenziava da questo per alcuni importanti aspetti. Con un alesaggio di 85 mm e una corsa di 88 mm (la cilindrata era, quindi, di 2996 cmc) il motore presentava un rapporto di compressione piuttosto alto per i tempi (8,55 : 1).

Ciò che tuttavia caratterizzava la 300 SL di serie era, soprattutto, la presenza di un impianto di iniezione diretta. La benzina veniva cioè iniettata all’interno del cilindro e la miscela si formava direttamente nella camera di scoppio. L’importante novità, che verrà impiegata qualche anno più tardi, con notevole successo, anche sulla FI, derivava dalla grande esperienza che la Mercedes e, in particolare Hans Scherenberg (allora direttore tecnico), avevano acquisito sui motori d’aereo.

L’impianto d’iniezione ad alta pressione, studiato insieme alla Bosch, era simile a quello utilizzato per i propulsori diesel e aveva richiesto una nuova testata in lega leggera (il monoblocco era in ghisa), con camere di combustione più piccole e valvole più grandi. Montato inclinato di 50 sul la destra, aveva distribuzione ad albero a camme in testa comandato da una doppia catena; le valvole erano parallele (anche se su piani diversi) ed erano azionate tramite bilancieri; i condotti di aspirazione e di scarico erano a sinistra, mentre iniettori e candele erano posizionate sulla destra. La lubrificazione rimase a carter secco, con radiatore laterale. La potenza, grazie al l’iniezione, fece un balzo, raggiungendo 240 CV a 5800 giri/min. Il motore, con albero a gomiti poggiante su sette supporti di banco, aveva un regime massimo di rotazione di 6400 giri/min.

Il cambio era, in pratica, il 4 marce del la 300 berlina, modificato solo nella scelta dei rapporti (ad esempio, la 4 era diretta). Anche le sospensioni derivavano da quelle della 300: avantreno a quadrilateri deformabili con bracci triangolari stampati, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici e bar ra stabilizzatrice: retrotreno (piuttosto semplice) a semiassi oscillanti, doppie molle elicoidali imperniate sul semiasse e ammortizzatori separati. La sospensione posteriore fu uno degli elementi più criticati dai clienti, tant’è che, nella successiva versione spider (1957), venne modificata con l’aggiunta di un compensatore d’assetto costituito da un mollone elicoidale orizzonta le collegante i due semiassi.

I freni utilizzavano 4 grossi tamburi in lega leggera, abbondantemente alettati per migliorare il raffreddamento. L’impianto era completato da un servocomando a de pressione costruito dalla A Lo sterzo, a circolazione di sfere, venne modificato su gli ultimi esemplari.

La carrozzeria era in acciaio e venne imbullonata al telaio, sempre del tipo tubolare, Caratteristiche le aperture vicine ai passaruota, in seguito copiate anche da altre Case sportive, che servivano a smaltire più velocemente il calore generato nel vano motore, Per i clienti sportivi la Mercedes preparò anche una piccola serie (29 esemplari in tutto) di 300 SL con portiere e cofani in alluminio (queste versioni alleggerite pesavano 100 kg in meno di quelle di se rie) e con motore potenziato.

Equipaggiata di serie con un differenzia le autobloccante (al 50%) costruito dalla ZF, questa vettura di quasi 1300 kg aveva prestazioni che tradivano la sua derivazione corsaiola. Secondo un depliant america no, aveva un’accelerazione da 0 a 100 km/h di circa 8 secondi e raggiungeva i 160 km/h in 17,7 secondi, Poiché il cliente poteva scegliere la combinazione di rapporti più congeniale, i valori variavano da vet tura a vettura, pur mantenendosi sempre su livelli di assoluta preminenza.

Certamente, per guidare al limite una vettura con queste caratteristiche, occorre- vano una non comune capacità di guida e una notevole ‘freddezza’. Fu per questo che, in mano a piloti privati, la potente 300 SL raramente riuscì a spuntarla sulle più agili vetture italiane, come la mitica Ferrari 250 CT, In curva, per fare un esempio, all’iniziale, deciso sottosterzo si sostituiva all’improvviso un altrettanto deciso sovrasterzo.

Uno dei ‘talloni d’Achille’ di questa vet tura era rappresentato dai freni a tamburo, davvero inadeguati alle prestazioni, nono stante i tecnici tedeschi avessero cercato di sovradimensionarli (26 cm di diametro e 9 cm di larghezza). Dotati di servofreno, era no a doppio ceppo e presentavano un’abbondante alettatura per il raffreddamento. Solo alla fine della carriera, la 300 SL venne dotata di 4 freni a disco Dunlop.

Ai problemi di frenata si aggiungeva inoltre una precaria tenuta sul bagnato che ‘sconsigliava’ una qualsiasi brusca variazione di velocità. La situazione migliorava in vece nettamente con l’assetto tipo corsa, ossia, montando molle e ammortizzatori da competizione. Probabilmente, questo difetto avrebbe potuto essere corretto all’origine, ma ai tecnici e al loro capo Uhlenhaut era stato esplicitamente imposto di utilizza re nella progettazione della coupé la maggior parte di componenti già utilizzati per altre vetture della produzione. Le vetture a cui ci si riferiva erano però comode berline, e in esse il confort era privilegiato rispetto alla velocità. In effetti, il retrotreno a semiassi oscillanti ad articolazione unica risultava molto efficace alle basse velocità e su terreno sconnesso, ma diventava inadeguato quando era richiesta un ‘ottima tenuta di strada a forte andatura -

Come si è già avuto modo di dire, il problema venne risolto solo in un secondo tempo, con l’adozione di un mollone-tampone montato orizzontalmente fra i due semiassi. Quel che, però, ancora oggi non si comprende è perché i responsabili avesse ro autorizzato l’applicazione di una sospensione posteriore più moderna sulla nuova 220, presentata anch’essa nel 1954, vietandola invece sulla 300 SL. E uno dei nume rosi misteri dei rapporti tra tecnici e direzione commerciale.

Nel 1955. un anno dopo il sensazionale debutto delle nuovissime W 196 in F 1 la Casa di Stoccarda decise di impegnarsi, oltre che in FI, nel settore delle Sport con la nuova 300 SLR. I Sport 300 SLR, strettamente imparentate con le W 196. diedero vita quell’anno a una delle più famose edizioni della Mille Miglia. Stirling Moss e Denis Jenkinson vinsero infatti a tempo di record, impiegando 2 ore meno del tempo fatto registrare tre anni prima da Bracco. Il successo della Casa fu completato dal 2’ posto ottenuto da Manuel Fangio sempre su Mercedes 300 SLR.

Nel clamore di questa grande affermazione, non molti si accorsero che la Mercedes aveva trionfato anche nella categoria Gran Turismo, occupando con le sue famose 6 cilindri 300 SL di serie i primi 3 posti. La prima classificata, la 300 SL guidata dal pilota privato americano John Fitch, compì il percorso alla media di 1 38,7 km/h, assicurandosi il 5 posto assoluto. Le altre due 300 SL, condotte da Gendebien e da Casella, ottennero rispettivamente il 7’ e il 10 posto assoluto.

In quell’anno la Mercedes conquistò il Campionato Mondiale Marche, e Fangio, come già l’anno precedente, vinse il Campionato del Mondo Conduttori. Tuttavia, a fine stagione, la Casa di Stoccarda, in seguito al tragico incidente verificatosi alla 24 Ore di Le Mans (dove, oltre al pilota Pierre Levegh. persero la vita quasi 100 spettatori), annunciò il suo ritiro dalle competizioni di velocità.

Nel 1956, la Mercedes si dedicò completamente ai rally, dove la 300 SL fece valere di nuovo il suo enorme potenziale. Oltre ai rally del Sestrière. dell’Acropoli e Iberico, la 300 SL vinse la Maratona della Strada, la spossante Liegi-Roma-Liegi, e Shock e Moli, con una 300 SL. conquistarono il Campionato d’Europa Rally per Conduttori 1956. In seguito, naturalmente, i successi si diradarono, anche se la 300 SL continuò a comportarsi onorevolmente in mano a esperti piloti privati.

L’epilogo del la sua breve ma fortunata carriera fu un concorso d’eleganza svoltosi in California. Forse fu una fine non proprio gloriosa, anche se non si può dimenticare che gli americani hanno sempre condizionato la produzione e la vita commercia le della Mercedes.

Fu proprio per soddisfare i loro desideri che, nel 1957, fu prodotta una versione spider. La decappottabile non poteva natural mente avere le portiere ad ala di gabbiano: di conseguenza venne modificato anche il leggero telaio tubolare. La robustezza della struttura fu ripristinata con nuovi tubi di rinforzo che, partendo dal tunnel della trasmissione, andavano all’indietro fino al traliccio sovrastante il differenziale. Nella riprogettazione del telaio venne considerata, e attuata, anche l’opportunità di adottare un retrotreno più moderno. La vettura ne ebbe indubbiamente un vantaggio, anche se non molti se ne accorsero.

Quello che la gente notò di più fu l’aumento di cromature sulla carrozzeria, una specie di appropriazione di particolari stilistici di altre vetture della gamma Mercedes che avrebbero alla fine condotto alla 230 SL del 1963. E anche possibile che la clientela non abbia nemmeno notato che nella versione spider l’albero della distribuzione era lo stesso fino ad allora riservato alle versioni da corsa.

Con la sospensione rinnovata, la vettura poteva sviluppare meglio la sua potenza, dato che ora il centro di rollio posteriore si trovava diversi centimetri sotto il livello dei mozzi. L’asse di sbandamento era ora quasi del tutto orizzontale e le variazioni di inclinazione delle ruote e la tendenza a sovrasterzare risultavano perciò assai me no preoccupanti. Tali tendenze furono ulteriormente ridotte per mezzo di una ingegnosa molla centrale orizzontale inserita tra i due bracci che si alzavano sopra i semiassi. La molla era disposta in modo tale che la sua effettiva deformazione fosse maggiore nei sobbalzi che nella rollata, il che significava che la rigidità di rollata del la sospensione posteriore era stata ridotta.

Ma chi se ne preoccupava? La vettura era splendida e facile da guidare, pur richiedendo un po’ di forza sui pedali e sul volante, dotato di un rapporto così alto di riduzione (1,7 giri da un bloccaggio all’altro) eppure così dolce. Il segreto era un ammortizzatore posto sul membro centrale del tirante trasversale di comando dello sterzo (che era in tre pezzi), oltre a una scatola di guida a ricircolazione di sfere.

Ma tutto questo che cosa importava? Si trattava di una vettura da pulire e lucidare, di una vettura da guidare lentamente sotto il sole, con la capote e i finestrini abbassati per far salire alle stelle l’invidia della gente. Non era più una vettura da onori internazionali: era diventata una vettura con cui darsi delle arie.