Lancia Stratos

(Vincitrice della Targa Florio nel 1974 con Larrousse e Balestrieri)

La struttura. Il cruscotto della Stratos.
Il motore della Stratos. Il motore della Stratos. L'abitacolo. Il serbatoio. L'abitacolo della Stratos. La Stratos del team ufficiale della Lancia di Munari/Andruet alla Targa Florio del 1973, dove si piazzo in seconda posizione.
Una Stratos privata impegnata nel Rally di San Remo del 1979. Uno dei prototipi del 1971 disegnati da Bertone. La sua nitida linea dovette essere modificata per ragioni di praticità. Una Stratos alle prese con il fango nel Safari Rally del 1977.

La Stratos ‘Omologazione Speciale’ fu senza alcun dubbio una sportiva di carattere. Benché del tutto inadeguata a un utilizzo quotidiano, non poneva particolari problemi di guida nel traffico ordinario, se non quello di controllare la tentazione di scatenarsi nella corsa, date le sue qualità di auto velocissima. La Stratos vinse per tre volte il mondiale rally e si ritirò dalle competizioni unicamente per problemi ‘politici’. Penalizzata da una scarsa visibilità a causa della sua stessa linea anticonformista, disegnata secondo una concezione tipicamente italiana, dichiarava prestazioni di tutto rispetto. Italiana in tutto e per tutto, dunque, la Stratos della Lancia.

            Il fatto che la Stratos fosse una Lancia è, indubbiamente, straordinario. La vecchia Casa di Torino, che aveva creato il primo telaio portante (l’elegante Lambda degli anni Venti), si era un po’ adagiata sugli allori, dopo la Seconda Guerra Mondiale. A dire il vero, aveva prodotto negli anni Cinquanta interessanti motori, oltre a una competitiva monoposto di Formula 1 che, regalata alla ferrari, consentì a quest’ultima di vincere un mondiale. Comunque, lo spirito sportivo era di casa alla Lancia, tant’è che anche le belle Fulvia coupé avevano pretese sportive. Malgrado la splendida carriera delle successive versioni della Fulvia nei rally, le Lancia risultarono però, in particolare dal punto di vista meccanico, abbastanza conservatrici.

La Casa automobilistica aveva una clientela fedele, ma questo non bastava a fronte della crescente competitività del mercato. Sul finire degli anni Sessanta si profilò dunque il rischio di bancarotta. Il potente vicino di Torino, la Fiat, in piena espansione, che nel 1969 aveva acquistato metà delle azioni Ferrari, venne in soccorso della lancia, assorbendo completamente la società e accollandosi i debiti, la Fiat aveva compreso che avrebbe potuto utilizzare il nome Lancia per contraddistinguere i suoi modelli di maggior prestigio. Fu, quindi. prontamente avviato un programma di sviluppo di nuove vetture in sostituzione della Fulvia e della Flavia e, parallelamente, si cercò con ogni mezzo di valorizzare il vecchio blasone, non trascurando neppure la partecipazione al campionato internazionale rally.

Affermarsi sul piano agonistico significa dimostrare la bontà della propria tecnica. della propria meccanica, della propria tecnologia, a tutto vantaggio della produzione di serie, i i concreto, la realizzazione di un programma del genere richiede apparecchiature altamente specializzate e un’ingente disponibilità di capitale. Per evitare, pertanto, che i costruttori d’auto producano vetture altamente specializzate senza alcuna considerazione per i costi, è necessario insistere perché un dato modello venga prodotto in un numero considerevole di esemplari prima che possa debuttare in cor sa. E questa considerazione che ha portato alla necessità dell’ ‘omologazione speciale’.

Il passaggio da varianti della produzione di serie appositamente elaborate per i rally a vetture progettate appositamente per rally risale alla fine degli anni Sessanta e le Lancia Stratos rappresentano il primo esemplare di quella stirpe di autentici ‘mostri’ che sono oggi le Audi quattro, la Peugeot 205 Turbo 16, la 1.aneia Delta S4, la Ford RS 200 e la Metro GR4.

Le norme odierne impongono la produzione di una piccola serie di vetture ‘stradali’: 200 esemplari in tutto contro i 500 previsti nel 1970 per le vetture Gruppo 4. Cinquecento pezzi possono sembrare una produzione già consistente, ma in realtà ogni economia incide poco al di sotto dei l0000 pezzi. Le Case non possono permettersi lo spreco di investimenti in lavorazioni costose e, in ogni caso, non possono poi imporre prezzi adeguati a prodotti con un mercato molto limitato,

Il problema della Lancia nel 1970 era che la competizione si faceva troppo dura persino per la splendida Fulvia HF coupé da 1,6 I. Le avversarie più temute erano la Porsche 911 e la Alpine Renault, entrambe con motore posteriore e pertanto più a loro agio sullo sterrato, dove potevano manifestarsi problemi di trazione, oltre alla Ford [ 16 valvole, con motore anteriore e trazione posteriore, leggera e indiscutibilmente valida. Cesare Fiorio, responsabile del settore agonistico della Lancia, capì che era il momento di intervenire con qual cosa di speciale e, grazie al denaro Fiat, si lanciò nella realizzazione di questo importante obiettivo, Il requisito più importante era la potenza, in quanto le vecchie Fulvia arrivavano al massimo a 1 32 CV; l’Alpine Renault, molto più leggera, poteva disporre di oltre 170 CV e la Porsche di oltre 200 CV. Nessuna Lancia o Fiat si collocava a tali livelli, salvo forse la Dino con motore Ferrari, ma di produzione Fiat, dotata di un potente motore a 6 cilindri a V da 2,4 litri a doppio albero a camme in testa, idea le per le competizioni.

Questo motore aveva una storia interessante. Era stato predisposto per la Formula 2 del 1967, che prevedeva l’uso di propulsori di 2000 cmc: l’unico requisito ri chiesto era che questi motori derivassero dalla normale serie. In tale occasione avvenne il primo incontro di Enzo Ferrari con la Fiat, che consen6 a produrre una versione stradale ditale motore; nacque co sì la Ferrari Dino 206 GT con motore centrale. Nella versione meno potente, con motore anteriore, lo ritroviamo successiva mente sulle auto sportive Dino della Fiat; entrambi i modelli furono presentati al Salone di Torino del 1966. Per quanto riguarda la Ferrari, il motore, da 1987 cm (86 mm x 57 mm, con teste cilindri in lega d’alluminio), raggiungeva regimi piuttosto elevati e potenze dell’ordine dei 180 CV, con coppia massima a 6500 giri/min, caratteristiche tipiche dei motori da competizione vecchio stile; la versione Fiat era solo un po’ meno eccitante’, con 160 CV a 7200 giri/min e coppia massima a un più tranquillo valore di 4600 giri/min.

Al fine di migliorarne l’elasticità ampliando l’effettiva gamma di potenza, la Ferrari ridisegnò il motore, portando alesaggio e corsa rispettivamente a 92,5 mm e 60 mm, che davano una cilindrata complessiva di 2418 cmc; nasceva così la più ambita Ferrari da strada di ogni tempo. L’immortale 246 GT, caratterizzata da valori di potenza e coppia ancora alquanto elevati, rispettivamente  195 CV a 7600 giri/min e 23 kgm a 5500 giri/min. Non c’è da meravigliarsi se la Fiat, quando nel 1970 utilizzò questo motore per le più ‘modeste’ spider e coupé Dino. nei suoi ultimi due anni di vita ne ridusse il regime e la potenza, portando quest’ultima a 180 CV a 6600 giri/ mm e a coppia a 22 kgm a 4600 giri/min, Il motore disponeva, pertanto, di tutta la potenza necessaria a una vettura da rally che ambisse ai massimi traguardi. Fiorio si rese conto che l’accoppiamento di questo motore e della trasmissione della Ferrari costituiva di per sé un gruppo propulsore-trasmissione perfettamente omogeneo, tenuto anche conto della sua disposizione trasversale. Risultò inoltre di grande aiuto il fatto che fosse allora capo dell’ufficio progetti della Lancia Piero Gabbato, già responsabile dei contatti con la Ferrari ai tempi della progettazione del motore Dino. La Lancia coltivò l’idea di trasformare la 240 GT in vettura da rally, ma dovette rinunciarvi a motivo sia delle dimensioni e del peso sia perché troppo delicata per questo genere di corse,

Fu allora la squadra progetti di Fiorio che si assunse la responsabilità di sviluppa re una vettura con i requisiti opportuni; il più famoso carrozziere italiano dell’epoca, l fu incaricato non solo di disegna re la carrozzeria, ma di sviluppare nei particolari la struttura stilla base delle indicazioni generali fornite dalla I ancia.

In un certo senso, Bertone aveva contribuito alla nascita della Stratos ancor prima della Fiat o della Lancia; per l’esposizione di Torino del 1970 aveva infatti messo a punto una bella vettura, con particolari caratteristiche di stravaganti funzionalità, Si trattava di una biposto dal muso tagliente, conci forme, piatta nel la parte superiore della carrozzeria, con un parabrezza inclinato che non facilitava certo la visibilità; inoltre per salire in vettura occorreva sollevarlo, quindi, ripiegato il piccolo volante, ci si infilava badando a non sbattere la testa, La posizione del motore era centrale, con trazione anteriore del tipo Lancia Fulvia situata dietro l’abitacolo: una vera auto da corsa, Per tutte queste sue caratteristi che, Bertone disse che sembrava venire da un altro mondo e, pertanto, la chiamò Stratos (da stratosfera).

Lo scopo di tali esibizioni è, almeno in parte, quello di suscitare stimoli e, indubbiamente, la Stratos Bertone costituì uno stimolo per la Lancia, anche se la Stratos presentata al Salone di Torino come prototipo incompleto, nel novembre 1971, esattamente due anni dopo l’avvio del progetto, non aveva in comune con quell’esemplare di pura ricerca stilistica altro che, forse, le dimensioni.

Nell’insieme, la vettura era molto compatta essendo lunga solo 3,71 metri. Come si confà a un’auto da rally, gli sbalzi anteriore e posteriore erano contenuti al massimo (il passo era di 2,18 metri). La carreggiata anteriore e posteriore, era rispettiva mente di 1,43 e 1,46 metri. Questo insolito abbinamento tra le dimensioni del passo e della carreggiata contribuì a rendere l’auto sempre molto maneggevole.

Dal punto di vista strutturale, il progetto era interessante, complesso, con abitacolo a struttura monoscocca a rivestimento resistente. La sospensione anteriore e lo sterzo poggiavano su prolungamenti in lamiera dell’abitacolo; posteriormente, invece, un’alta struttura aperta con trame a scatola, saldata alla paratia, ospitava il gruppo propulsore-trasmissione e la sospensione. In una prima versione, le Stratos avevano le sospensioni con braccio oscillante trasversale (anteriormente furono utilizzati montanti e mozzi ruote della Fiat 124); nei successivi sviluppi la sospensione posteriore fu modificata nel tipo a montante, meno perfetto dal punto di vista geometrico, ma più solido e in grado di scaricare il peso in maggiore misura sul telaio. A entrambe le estremità furono installate barre antirollio; lo sterzo, del tipo a cremagliera, diretto, richiedeva solo 3 giri del volante per una sterzata completa.

I freni a disco Girling, ventilati, del diametro di circa 28 cm, non disponevano di servomeccanismo. I due serbatoi, sistemati in posizione centrale, contenevano tino a 85 litri di carburante,  quanto era necessario per un’auto che taceva appena 7 km con un litro ad andatura normale e anche molto meno a velocità più elevate.

La carrozzeria era in acciaio nelle parti fisse, saldate a formare un tutt’uno con il gruppo telaio, e in fibra di vetro rinforzata nei cofani anteriore e motore e nelle porte. Vi erano poi appositi scomparti sagomati per riporre i caschi, e finestrini laterali che ruotavano in corrispondenza dell’angolo posteriore superiore; semplici ma ingegnosi, si aprivano tramite una manopola interna che scorreva lungo una guida ricurva nella porta. I fari a scomparsa erano azionati elettricamente. I cerchi, in lega d’alluminio, di varia larghezza, erano forniti dalla Campagnolo, la misura standard era  di 19 cm con pneumatici radiali 205/70 VR-14 Michelin o Pirelli.

Il motore, come previsto, era un Dino Ferrari 2418 cmc, 6 cilindri a V, con un’insolita angolazione di 65° tra i blocchi. Con i suoi tre carburatori doppio corpo Weber e un rapporto di compressione 9: 1, tipico di tutti i motori Dino, Fiat o Ferrari, da 2 o da 2.4 l., erogava una potenza di 190 CV (DIN) a 7000 giri/min, con una coppia di 23 kgm a 4000 giri/min. Chiunque si sia trovato al volante di una Stratos può con fermare come tali valori siano relativamente elastici ed esprimere il più grande entusiasmo per l’ampia gamma di potenza di questo motore. Questa splendida 6 cilindri a V, cui si accompagnava un cambio a cinque marce con rapporti ravvicinati, pesava in ordine di marcia 980 kg, certamente non poco se si pensa che la Stratos era destinata a rally di ogni tipo, compreso l’East African Safari che si disputa sulle piste africane. Comunque era abbastanza leggera per l’epoca, per garantire prestazioni di rilievo, tra cui il passaggio da O a 160 km/h in circa 18 secondi e il raggiungimento dei 100 km/h in meno di sette secondi. La velocità massima dipendeva ovviamente dalla marcia utilizzata, che, essendo sempre più importante l’accelerazione, era sempre mantenuta bassa.

Le prove complete furono iniziate solo nel 1972, un anno dopo la presentazione del prototipo al Salone; la Stratos vinse il suo primo rally internazionale la stagione successiva, ma ottenne l’omologazione solo nel l’ottobre 1974. La partecipazione alla prima gara fu affidata a Sandro Munari, nel Tour de Corse del 1972, ma la rottura delle sospensioni posteriori lo costrinse al ritiro. Il primo grande successo venne alla quarta partecipazione, con la vittoria di Munari al Rally Firestone di Spagna del 1973. Seguirono poi le gloriose vittorie della Lancia nei successivi Tour de France, Targa Florio e RaIly di Sicilia. Alla omologazione del 1974 seguirono le vittorie nel Rally di San Remo, nel Giro d’italia e, di nuovo, nel Tour de Corse, quindi, nel 1975, quelle nei rally di MonteCarlo, di Svezia e di San Remo. Lo stesso avvenne nel 1976, anno della terza vittoria consecutiva delle Lancia nel Campionato del Mondo, quando la Stratos conquistò i rally di MonteCarlo, del Portogallo, di Corsica e di San Remo.

Il 1977 vide le ultime esibizioni agonistiche della Stratos a causa delle pressioni della Fiat, ansiosa di affermare la nuova versione da rally della 131 Abarth; la Stratos, infatti, praticamente insuperabile, rischiava di spazzar via a priori qualsiasi concorrente. I maggiori trofei furono dunque una terza vittoria di Munari al Rally di Monte Carlo, e la vittoria al Total Rally del Sud Africa, oltre, a dire il vero, al quinto e ultimo successo nel Monte Carlo, ottenuto dal francese Bernard Darniche due anni più tardi; seguirono poi fino al termine del 1982, anno di scadenza dell’omologazione, buoni piazzamenti in vari campionati europei.

Che cosa non vinse la Stratos? La risposta sarà brevissima. Non vinse mai né un RaIly RAC (arrivò terza nel 1974), né un Safari (Munari vi andò vicino, piazzandosi secondo nel 1975), cioè gare su terreni sconnessi. La lunghezza ridotta della Stratos, le proporzioni quasi quadrate di carreggiata e passo ruote e il suo comporta mento in curva, tipico delle auto con motore centrale, ne sono forse responsabili, ma, certo, giocò anche un pizzico di sfortuna.

Non è ancora provato se la Lancia abbia veramente prodotto le 500 Stratos richieste per l’omologazione; le fonti più sicure parlano piuttosto di 450-490 esemplari.