Alfa Romeo 33

(Vincitrice della Targa Florio nel 1971 con Vaccarella ed Hezemans)

"La fama internazionale dell’Alfa Romeo si è consolidata soprattutto negli anni intercorsi tra le due guerre mondiali, con una politica sportiva molto aggressiva Anche agli inizi degli anni Trenta, dopo essere passata sotto il controllo dello Stato, l’Alfa Romeo continuò a partecipare alle corse per mezzo di una squadra privata per la quale allestiva e collaudava le vetture: la Scuderia Ferrari..."

Alfa 33tt12 boxer 3 lt. Il razionale montaggio dell'8V Alfa Romeo Alfa 33tt12 boxer 3 litri 1971 Vaccarella-Hezemans vincitori su A.Romeo 33-3 L'Alfa 33 di Stommelen alla 1000 Km del Nurburgring del 1973 L'Alfa 33 di De Adamich a Brands Hatch nel 1972 L'Alfa 332 Stradale realizzata nel 1967 da Franco Castiglione
La struttura Il motore 8V della 333 L'Alfa 33 di Stommelen alla 1000 Km di Brands Hatch del 1971 Merzario collauda una 33tt12 per la stagione 1976 Uno splendido esemplare di Alfa 33

 

Nel 1938 il presidente della società, Ugo Gobbato, decise di ritornare alle competizioni in veste ufficiale, dando vita alla Alfa Corse, con sede al Portello. Sotto tale gestione, la Tipo 158, la celebre vetturetta a motore sovralimentato originariamente progettata a Modena sotto la supervisione della stessa Ferrari, dominò la sua classe fino a che l’entrata in guerra dell’italia ne interruppe la carriera.

Al termine del conflitto, la 158 riprese ancora più brillantemente, mostrando una costante supremazia nei Gran Premi per tutto il periodo 1946-1951. Nel 1952 fu deciso un nuovo ritiro dalle gare.

Fino alla grande rentrée in F.1 del 1979 la Casa milanese continuò comunque a raccogliere lusinghieri risultati nelle competizioni automobilistiche grazie alle proprie vetture Sport e GT.

Tra il 1967 ed il 1975 vi era stata la lunga parentesi dedicata ai tentativi di conquista del Campionato Mondiale Marche, prima limitatamente alla categoria 2 litri, per puntare in un secondo momento al titolo assoluto. Le vetture utilizzate costituirono la lunga dinastia delle Alfa 33. La prima di esse venne concepita sotto la direzione dell’ingegner Orazio Satta Puliga, responsabile del reparto progettazione e sviluppo dell’Alfa Romeo, e dall’ingegner Car lo Chiti.

Il torinese Satta Puliga, oltre a un esuberante spirito d’iniziativa, aveva già maturato una grande esperienza: sotto la sua guida era stata tra l’altro sviluppata la serie delle Alfetta 158 e 159 da Gran Premio; nel campo della produzione di serie erano state frutto del suo genio automobili come la celebre ‘Disco Volante’, la Giulia del 1962, la GTA, la GTV e la spider Duetto’.

Chiti, autentico toscano nato a Pistoia nel 1924, era entrato all’Alla Romeo nel 1952 presso il reparto esperienze dello stesso Satta. Cinque anni più tardi era passato alla Ferrari, assumendo il ruolo di capo ingegnere dopo la tragica morte del collega Andrea Fraschetti. A Chiti si dovettero in larga misura i progetti delle Dino 258 e 256 di F.1 (fu alla guida di una monoposto di questa serie che Mike Hawthorn conquistò nel 1958 il Campionato Mondiale Piloti) e della famosa 156, con la quale Phil Hill si laureò campione nel 1961. Sfruttando le sue esperienze in campo aeronautico, egli coordinò inoltre uno dei primi pro grammi di studio in galleria del vento e fu infine l’artefice dell’adozione del motore posteriore sulle vetture da Gran Premio e Sport della Casa di Maranello.

‘Cervelli’ in fuga dalla Ferrari

Alla fine della stagione 1961, la situazione interna della Ferrari era piuttosto pesante; numerosi tecnici, e tra questi Carlo Chiti, decisero di lasciare la Casa per fondare la Automobili Turismo e Sport, con l’obiettivo dichiarato di battere la Ferrari. L’impresa non ebbe successo e, dopo nemmeno un anno, la ATS fallì.

Chiti si trasferì allora ad Udine, per da re vita, assieme all’ing. Ludovico Chizzola, all’Autodelta SpA. Quasi subito ricevette dall’Alfa Romeo l’incarico di realizzare il nuovo coupé TZ a telaio tubolare. Per Chiti fu finalmente il successo. Di questa vettura vennero costruiti nel primo anno di attività circa 100 esemplari. Nel 1964 l’azienda si spostò a Settimo Milanese, vicino allo stabilimento del Portello, divenendo in pratica il reparto corse dell’Alfa Romeo.

Nel marzo 1965 l’Autodelta prese parte alla 3 Ore di Sebring, in Florida, con due Giulia Super berlina. In rapidissima successione vennero quindi presentate la nuova TZ2, dotata di carrozzeria in plastica, e la versione corsa della Giulia GTA 1600 di Satta. Dal 1966 al 1972, le vetture semi-ufficiali della scuderia di Chiti dominarono incontrastate il Campionato Europeo Turismo nella loro classe, ottenendo anche di versi successi assoluti.

Durante questo periodo, il reparto speri mentale di Satta fu autorizzato a dare il via al progetto di una Sport-Prototipo 2 litri destinata a partecipare alle classiche di durata come la 24 Ore di Le Mans e la Targa Florio. Forte anche dell’esperienza agonistica di Chiti, Satta Puliga supervisionò Io sviluppo di un prototipo, dotato del 4 cilindri di 1570 cm della TZ2, ultimato alla fine del 1965. Mentre si procedeva ai primi collaudi presso l’Autodelta, veniva messo a punto il propulsore definitivo concepito da Chiti per la nuova creatura: un 8 cilindri a V con distribuzione a doppio albero a camme, ideato per essere montato in posizione posteriore centrale subito dietro l’abitacolo. Si trattava della seconda vettura Alfa Romeo a motore posteriore dopo la 512 da Gran Premio del 1940-41 (senza contare la coupé 163 3 litri a 16 cilindri a V che, se fosse stata completata, sarebbe stata una delle più eccitanti automobili di tutti i tempi).

Il motore 8V di Chiti, con un doppio albero a camme per bancata, aveva una cilindrata di 1995 cm ed era in grado di erogare 200 CV a soli 6500 giri/min. L’imponente unità, completamente in lega di alluminio, era dotata di una finitura color oro che sarebbe divenuta familiare su tutte le Alfa Romeo da competizione.

Molto più sbalorditivo del motore era comunque il telaio ideato da Satta, costituito da una semplice struttura in tubi in magnesio di largo diametro, struttura per la qua le costituì una fonte di ispirazione uno schema in precedenza concepito da Alejandro De Tomaso. Due massicci tubi laterali da 200 mm erano uniti, dietro l’abitacolo, da una traversa di analoga struttura e, nella parte anteriore, da una complessa paratia che costituiva inferiormente il vano pie di, in un insieme che garantiva grande leggerezza e ottima accessibilità. All’altezza del motore, i due longheroni laterali andavano restringendosi, per fungere da supporto a una traversa che, a sua volta, sosteneva le sospensioni e il cambio.

11 carburante era contenuto in serbatoi di gomma posti all’interno dei tubi laterali. La carrozzeria, in vetroresina, era composta da un elemento centrale, che comprendeva le fiancate, e dai due cofani, anteriore e posteriore. Il suo peso, secondo lo storico Luigi Fusi, era di soli 55 kg, un risultato davvero notevole per i tempi. La vettura completa pesava 580 kg.

lI 6 marzo 1967, dopo una serie di col laudi effettuati sulla pista di Balocco e a Monza, la 33 venne presentata alla stampa. Il caratteristico periscopio sul cofano motore (una presa d’aria dinamica per l’alimentazione del motore e il raffreddamento dei freni posteriori entrobordo) anticipava di quattro anni l’adozione della stessa soluzione sulle monoposto di F.1.

Data l’esperienza maturata con le vetture turismo nelle corse in salita di tutta Europa, l’Autodelta decise di far debuttare la nuova 33 proprio in una gara del genere, svoltasi in Belgio, nei pressi di Liegi. In quell’occasione non vi erano naturalmente avversari di rilievo e la nuova vettura, guidata in questa prima uscita dal collaudatore della Casa Teodoro Zeccoli, ottenne una facile vittoria.

Una stagione sfortunata

Nel corso della stagione l’entusiasmo iniziale venne però ben presto meno. Le 33, oltre che poco efficaci, si dimostrarono anche piuttosto sfortunate. Raramente lavate, approssimativamente verniciate con una pistola a spruzzo, sempre piene di olio e di grasso, offrivano inoltre un’immagine complessiva di trascuratezza e pressappochismo. Fu sicuramente un periodo difficile per quei dirigenti dell’Alfa Romeo che per anni si erano battuti in favore di una ripresa delle gare, motivandola con il ritorno promozionale e tecnico che i successi sportivi avrebbero avuto per la produzione di serie. La stagione si concluse con risulta ti non troppo confortanti: un 5 posto della coppia De Adamich/Galli al Nurburgring dietro le Porsche 910, un 9’ posto a Spa e una modesta vittoria nel Trofeo Bettoja a Vallelunga. A questo punto l’Alfa Romeo non reputò che fosse il caso di rischiare a Le Mans.

Il 1968 si aprì sotto auspici decisamente migliori. Nella prima prova, la 24 Ore di Daytona, le 33 coupé conquistarono il 4 5’ e 6 posto assoluto dietro le Porsche; dato che queste ultime disponevano di mo tori di maggiore cilindrata, ciò significò per le vetture italiane i primi tre posti di classe. Le cose andarono piuttosto bene anche alla Targa Florio, dove le 33, particolarmente adatte al caratteristico tipo di per corso, riuscirono persino a mantenere per qualche tempo il comando. L’Alfa Romeo vanta di aver collezionato nel 1968 quindi ci vittorie assolute e sei di classe; certamente il risultato più significativo fu la conquista del 4’, 5 e 6’ posto assoluto a Le Mans, con il totale dominio nella classe 2 litri.

Aumenta la cilindrata

Le vetture 2 litri vennero progressivamente rimpiazzate dalle 2,5 e, quindi, dalle 3 litri, che riuscirono a battersi ad armi pari con le migliori rivali della categoria Prototipi. Le vecchie 2 litri, che erano state vendute a numerosi privati, vennero portate in gara da questi in moltissime competizioni nazionali, nelle quali si comportò assai bene il team VDS, composto quasi esclusivamente da piloti belgi. Vennero in tutto costruite non meno di 30 unità del modello 33/2.

Nel corso del 1968, le nuove 33/3 di 3 litri vennero sottoposte a una nutrita serie di collaudi; il telaio in magnesio, costoso e difficile da riparare, fu nel frattempo rimpiazzato da una struttura tubolare con pannelli rivettali interamente in alluminio. Al l’inizio del 1969 la vettura fece il suo de- butto partecipando a gare minori, come quelle di Pergusa e dell’Osterreichring, cogliendo in entrambi i casi una promettente vittoria. Ignazio Giunti riuscì inoltre a classificarsi 2 nella 500 km di Imola.

Nel 1970 la preparazione e la finitura delle 33/3 effettuate dall’Autodelta fu sufficientemente accurata. Le vetture si presentavano molto bene con la loro linea accattivante e i muschi variamente colorati allo scopo di identificare meglio gli equipaggi, Questi erano poi più che validi. Piers Courage, Andrea De Adamich e Toine Hezemans erano tutti motivati e particolarmente aggressivi. Il francese disse in quel periodo: «Si tratta di una vettura sorprendente mente buona, veloce e solida come una roccia; sembra clic possa correre senza mai fermarsi, Il cambio è forse un po’ lento ma comunque buono...». L’olandese Hezemans, dal canto suo, raccontava con il suo abituale buon umore come, durante la 1000 km di Monza, avesse affrontato il curvone sollevando leggermente il piede dall’acceleratore, mentre il suo compagno Courage lo superava ‘in carrozza’, e aggiungeva sorridendo: «... ma lui è un pilota di Formula Uno!». Nonostante l’entusiasmo e l’impegno, tuttavia, la vittoria tanto attesa continuava a sfuggire, con la parziale consolazione del 2° posto conquistato in Austria e a Imola.

Nel 1971 la potenza del motore fu aumentata a 420 CV, mentre venne adottato un nuovo cambio a 5 marce che migliorò in misura sensibile la ‘guidabilità’. Le vetture, grazie anche ai nuovi pneumatici anteriori da 13” e al peso sceso da 700 a 650 kg, potevano ora considerarsi pressoché perfette. Mentre la nuova Ferrari 312 P, dotata di motore boxer, soffrì per tutta la stagione di inevitabili problemi di gioventù, le Alfa 33/3 riuscirono ad aggiudicarsi la Targa Florio, la 6 Ore di Watkins Glen e la 1000 km di Brands Hatch, battendo vetture molto più potenti come le Sport Porsche 917 e le Ferrari 512M semi-ufficia li. Tra il 1969ei1 1972 furono 20 gli esemplari della 33/3 che uscirono dalle officine Autodelta.

Un nuovo telaio e un nuovo motore

Nell’autunno del 1970 era stato dato il via allo sviluppo di una vettura più leggera, denominata 33TT3 dal nuovo telaio tubolare progettato da Chiti. Questo avrebbe dovuto ospitare un inedito 12 cilindri boxer sul modello del propulsore introdotto dalla Ferrari in F.1. In attesa che la nuova unità fosse pronta, sulla scocca 33TT3 venne montato un particolare gruppo motopropulsore. Esso si avvaleva del vecchio 8V, ma montava il cambio in posizione centra le tra il motore e il differenziale, una soluzione che si era giù dimostrata estremamente valida sulla Porsche 908/03 e che lo stesso Chiti aveva in passato utilizzato sulla sfortunata ATS FI del 1963.

Il fatto che tutta la meccanica fosse ora entro il passo comportò un posto guida particolarmente avanzato, con la pedaliera posta oltre l’asse anteriore. Il pilota, forse più esposto in caso di incidente, beneficiava sicuramente di una migliore visibilità, mentre la vettura presentava un baricentro molto basso con le masse piuttosto concentrate, a vantaggio di una grande maneggevolezza, con una risposta prontissima ai co mandi dello sterzo. il telaio originale della 33TT3 aveva però un passo troppo corto che ne comprometteva la stabilità. Nel 1971 venne così deciso di aumentare tale valore da 2160 a 2240 mm. Il primo proto tipo, dotato di pneumatici da 13”, era in grado di erogare 440 CV a 9800 giri/min, con un peso di soli 600 kg. Per rispettare il valore minimo imposto dal regolamento tale peso venne portato nel 1972 a 650 kg. In quell’anno, l’Alfa Romeo si classificò 2° nel Campionato Mondiale Marche, che venne dominato dalle Ferrari.

Il debutto del 12 cilindri

Durante lo sviluppo del nuovo 12 cilindri boxer, il più anziano 8V aveva trovato impiego nel 1968 anche nella Tasmania Cup, con una cilindrata di 2,5 litri, su una monoposto Brabham. Quello stesso anno la Cooper aveva costruito un telaio di F.1 adatto a ospitare il motore Alfa in versione 3 litri, ma il matrimonio non venne mai consumato. Fu invece la McLaren ad adottare il propulsore italiano nei Gran Premi delle stagioni 1970 e 1971. Il cambio della 33TT3 venne inoltre utilizzato nel 1972 dalla March 721 X FI, che era stata studiata per l’ottenimento di un ridottissimo mo mento d’inerzia. Il nuovo motore boxer, presentato alla Targa Florio del 1973, si dimostrò subito molto potente, tanto da at trarre più di una squadra di F 1 . La Brabham lo adottò negli anni 1976-1978.

Nonostante una nuova crisi economica, l’Alfa Romeo, giovandosi della sponsorizzazione della Campari e di un nuovo staff tecnico, riuscì a prendere parte al Campionato Marche, aggiudicandosi il titolo nel 1975 con le 33TT12, che si dimostrarono pressoché imbattibili, anche se non pressa te da avversari particolarmente agguerriti. Sei delle vetture che gareggiarono in quel la stagione vennero dotate della particolarissima carrozzeria con le pinne posteriori e il cupolone dietro l’abitacolo che la facevano rassomigliare alla celebre Batmobile dei fumetti. Il motore di 2995,125 cm (alesaggio e corsa rispettivamente di 77 e 53,6 mm e potenza di 500 CV a 11 000 giri/min) si comportò meglio dei propulsori turbo della concorrenza.

Nel 1977 l’Autodelta sviluppo una versione turbo del 12 cilindri boxer, riducendone la corsa a 38,2 mm per contenere la cilindrata in 2134 cm La potenza era di 640 CV a Il 000 giri/min, contro i 525 ±530 CV del 3 litri aspirato raggiunti al regi medi 12000 giri/min. Il telaio era ora parzialmente monoscocca e la vettura pesava 770 kg nella versione turbo e 720 kg in quella ad aspirazione naturale. Di quest’ultimo modello vennero costruiti 6 esemplari; solo 2 furono invece le 33TT12 nella versione sovralimentata.

L’Alfa Romeo, sponsorizzata dalla ditta di liquori Fernet Branca, si aggiudicò il titolo vincendo otto prove consecutive e battendo ogni record al Ricard e a Salisburgo, dove avvenne, tra l’altro, il debutto dei motori turbo. Successivamente, la Casa milanese, presa totalmente dal nuovo programma di F.1, abbandonò definitivamente lo sviluppo delle 33.

E interessante segnalare che, sulla base di questa gloriosa Sport-Prototipo Alfa Romeo, vennero realizzate una serie di versioni stradali. La prima fu la bella 33/2 Stradale carrozzata nel 1967 da Franco Scaglione, che si avvaleva di un telaio da competizione e poche concessioni al comfort. In seguito fecero la loro comparsa la Bertone Carabo, presentata al Salone di Torino di quello stesso anno, la Pininfarina P33 sempre del 1967, la Pininfarina 33 Coupé e l’Iguana di Giugiaro del 1969, per finire con lo spider di Pininfarina visto a Bruxelles nel 1971. La denominazione ‘33’ venne infine ripresa nel 1983 per contrassegnare l’erede della precedente Alfasud.

Tra il 1970 e il 1977 l’Alfa Romeo aveva inoltre prodotto 3925 unità di una Gran Turismo, la Montreal, che sfruttava 18 cilindri della 33, con una cilindrata di 2593 cm (alesaggio corsa 80x 64,5 mm) e una potenza di 200 CV a 6500 giri/min.