Targa Florio 1963

La partenza e l’arrivo, situati a metà del rettifilo fra Bonfornello e Campofelice di Roccella, presso Termini Imerese, vedevano la strada inerpicarsi per i primi 9 km lungo curve ingannevolmente strette, e spesso cieche, fra orti e vigneti, fino all’attraversamento dell’abitato di Cerda. Dopo una curva a esse appena fuori città e una stretta e apparentemente interminabile, curva a sinistra, con un massiccio muraglione di pietra all’esterno, si risaliva a  forza di curve la  montagna, mentre una vasta vallata, azzurra di foschia, si spalancava sulla sinistra. Superato un passo, si poteva osservare in lontananza la massa incombente di Monte Caltavuturo e alle sue spalle il Monte dei Cervi, che toccava i 1794 metri. Di li si scendeva poi alla disperata lungo una serie terrificante di curve. La pavimentazione era spaventosa. La settimana precedente alla corsa la manuten-zione faceva del suo meglio, scaricando asfalto sulla strada, ma le prime auto che ci passavano sopra di solito scavavano il rivestimento ancora molle, sparpagliandolo tutto attorno in pallottole appiccicose. La strada svoltava a est, serpeggiando fra le macchie di olivi, fino al ponte in fondo alla valle, poi risaliva a zig zag i fianchi di Monte Caltavuturo e sorpassava l’abitato di Caltavuturo, appollaiato sulla vetta. Lassù c’era una classica curva a destra a 900 attorno a una parete di roccia e il vuoto sulla sinistra a precipizio sulla vallata. Negli anni Cinquanta Mike Hawthorn e Peter Collins avevano battezzato questa curva «il ritorno a casa in una bara»; tutti ci stavano attenti, ma: nel circuito delle Madonie la prudenza e un buon tempo sul giro erano cose che non andavano d’accordo... La strada scendeva poi tortuosa fino a un lungo e stretto ponte in fondo al burrone, poi risaliva, tra gli oliveti, fino al tornante a sinistra del bivio Polizzi. Nelle vicinanze la Ferrari e la Porsche avevano piazzato i box per I’assistenza e le stazioni di rifornimento.  Fra gli eucaliptus e i fichi d’India, si potevano infatti osservare per molti chilo-metri le auto avventurarsi, fra lampi di sole sul parabrezza, lungo la discesa. Lungo le pendici del Monte dei Cervi il paesaggio cambiava, diventando desolato.  Poi si tornava fra gli alberi, per lanciarsi all’attraversamento di Collesano, tra le facciate imponenti dei palazzi. Ancora giù fino a Campofelice, in un’altra corsa pazza fra gli echi delle strette strade, quindi si svoltava a sinistra nella piazza principale con la chiesa barocca sulla destra, infine si sbuca-va all’aperto, col mare in basso sulla destra, su una bretella che porta alla litoranea Palermo-Messina e il rettifilo, liscio come un biliardo per 4800 metri, di Buonfornello. Si montavano cambi a 5 marce, con 4 rapporti piuttosto bassi per la guida in montagna e una 5° surmoltiplicata per poter spingere le grosse auto a 274 km/h lungo il rettifilo. Nel 1963 questa magnifica corsa venne vinta, dopo quasi 7 ore di battaglia dispera-ta, con un margine di soli 12 secondi. La gara cominciò, come al solito, alle 8 del mattino, col via dato a una Alfa Romeo SZ di produzione. La seconda vettura parti 30 secondi dopo e, con lo stesso intervallo, si succedettero alla partenza i 22 concorrenti di questa categoria. Le protagoniste principali di questo schieramento erano le Porsche e le Ferrari. Il collaudatore tedesco della Casa di Stoccarda, Herbie Linge, si alternava con Edgar Barth alla guida di una Porsche Carrera 2 litri  con  carrozzeria  speciale.  I1  barone siciliano Antonio Pucci guidava con Strahle una Porsche Abarth 1300. La Ferrari domi-nava la categoria Gran Turismo da 3000 cm3 con addirittura cinque GTO. Una sola Jaguar E rappresentava la categoria GT oltre 3000 cm3, mentre fra i prototipi si notavano le coupé speciali francesi di Rene: Bonnet e due Mini-Cooper della Downtown Engineering, una delle quali, guidata da Sir John Whitmore e da Paul Frere, montava addirittura due motori da 160 CV. Proprio in questa categoria si esprimeva il meglio della Porsche: Jo Bonnier e Carlo Mario Abate guidavano una 718 Le Mans Coupé, con un motore a 8 cilindri contrap-posti derivato dalla F1. L’ex vincitore della Targa Florio Umberto Maglioli guidava un’altra Porsche scoperta, praticamente i-dentica, con Giancarlo Baghetti, mentre la Ferrari presentava due potentissime 3 litri a motore posteriore, due prototipi V12 250P, affidate a Willy Mairesse e Ludovico Scar-fiotti e a John Surtees e Mike Parkes. C’era anche un Gruppo C sport 2 litri, che comprendeva la piccola Ferrari Dino V6 a motore posteriore guidata da Lorenzo Bandini. Bandini fu I’ultimo a partire, alle 8,34. Meno di dieci minuti dopo, il rombo di una castagnola annunciò I’imminente arrivo del primo concorrente che aveva completato il giro. Alla fine del primo giro, la Ferrari 250P di Scarfiotti pass8 con poco più di 3 secondi di vantaggio su quella di Parkes, avendo totalizzato un tempo di 44’48”1. Meno di 30 secondi dopo giunse la Porsche di Bonnier, seguita, a 30 secondi di distacco, da Bandini sulla Ferrari Dino 2 litri. Al termine del secondo giro, Parkes precedeva Bonnier di un minuto netto; Bandini era terzo a quasi 40 secondi, mentre Scarfiotti si trovava chiaramente in difficoltà. Completato il giro in 45 minuti, si diresse rombando ai box. Mentre i meccanici si affaccendavano nervosi attorno al motore, Mairesse, il pilota belga della Casa sopran-nominata ‘Wild Billy’ (‘Billy il matto’), saltava al posto di guida e ripartiva. Al termine del giro successivo, Mairesse dovet-te tuttavia fermarsi nuovamente ai box: la 250P venne cosi controllata prima di intra-prendere il suo quarto e ultimo giro. Duran-te  il  percorso,  la  vettura  sbatté  infatti duramente il sottoscocca, schiacciando la piccola gobba del serbatoio in cui pescava il tubo di alimentazione carburante; la ridu-zione del flusso del carburante rese impossibile I’alimentazione del motore oltre la metà della corsa dell’acceleratore. Alla fine del terzo giro Bonnier aveva intanto ceduto la sua Porsche Coupé a Abate e Parkes la sua Ferrari 250P a Surtees. Bandini era sfrecciato via, guada-gnando un posto e riuscendo sempre a segnare meno di 41 minuti sul giro. Ma Parkes aveva totalizzato un tempo di 40’05” netti prima di passare il volante a Surtees, e la coppia aveva a questo punto un vantaggio di 1’20”2.

Svanisce la grande speranza della Ferrari

Abate era rientrato in gara a soli 9 secondi dalla piccola Ferrari che, alla fine di quel giro, avrebbe dovuto fermarsi. In quel quinto giro Surtees commise un’errore ina-spettato durante una curva lenta; sbandan-do, danneggi8 carrozzeria e serbatoio della sua 250P e dovette ritirarsi con la vettura che grondava benzina sull’asfalto. La gran-de speranza della Ferrari era cosi irrimedia-bilmente fuori gara. Mentre Abate prendeva così la testa con la sua Porsche, Scarfiotti, che aveva già 20 secondi di ritardo, arrivò traballante, con grande preoccupazione di Ferrari, ai box. La piccola 2 litri su cui era passato, presentava una ruota danneggiata. I1 calcolo sbagliato di una curva gli aveva fatto investire uno dei paracarri di granito che, a dieci metri di intervallo, segnavano il percorso. Le Porsche di Baghetti e Barth sfreccia-rono al terzo e quarto posto. La Ferrari era nei guai, soverchiata dal numero preponde-rante degli avversari: tre contro uno. Quel quinto giro indicava che si era giunti a metà corsa. Nel corso dei successivi due giri, Scarfiotti guidò con calma e precisione, riuscendo a strappare la posizione di testa alla Porsche di Bonnier. Lo svedese aveva preso il posto di Abate durante una sosta ai box alla fine del sesto giro. La Porsche di Maglioli/Baghetti era terza, ma con circa 6 minuti di distacco, seguita a 11 minuti dalla GT di Barth/Linge. Nel corso dell’ottavo giro Scarfiotti si fermò ai box e il direttore di corsa Eugenio Dragoni mise Willy Mairesse al volante della Dino di testa con un vantaggio di quasi un minuto su Bonnier. La sosta permise allo svedese della Porsche di riguadagnare pochi secondi, e alla fine del penultimo giro, il nono, Mairesse pass8 in testa con la Ferrari con un vantaggio di poco piu di 50 secondi.

Battaglia disperata

II cielo si era intanto annuvolato e la pioggia, caduta a tratti durante il nono giro, era diventata ormai battente. Nel corso dei successivi 40 minuti, Jo Bonnier e Willy Mairesse avrebbero combattuto una dispe-rata battaglia, guidando puramente d’istinto.  I sei minuti di distacco che li separavano dalla partenza non avrebbero infatti permesso loro di avvistarsi. Mairesse tent8 disperatamente di mantenere il suo esiguo vantaggio. Bonnier tentò disperatamente di rosicchiarglielo. Sulla su-perficie stradale ormai pericolosa e traditri-ce la Porsche era peraltro solo marginal-mente più facile da guidare della Ferrari.  Entrambi i piloti spinsero al massimo su una superficie che si presentava sempre diversa: se per un tratto I’acqua scorreva sull’asfalto carica di fango, poco più in 1à il tratto di frenata verso un curva cieca era asciutto, ma, appena oltre la curva, I’asfalto tornava a essere viscido e bagnato. Bonnier, enig-matico dietro la sua barba, aveva assoluta-mente bisogno di una vittoria, dopo troppi anni magri, e correva un rischio dopo I’altro.  Con uno shock da attanagliargli lo stomaco, scalò di marcia prima di una curva stretta e la leva del cambio gli rimbalzò a vuoto in mano: non riusciva a innestare la 2”. Diede una strappata al motore, riusci a slittare via in 3°, riprovò con la 2”...; la 2” non c’era più.  II cambio aveva perso gli ingranaggi della la e della 2”. Con quelle strade ruscellanti d’acqua poteva tuttavia cavarsela con le tre marce superiori: non era poi un guaio irreparabile! Col cuore in gola tirò avanti, pregando che, qualsiasi cosa fosse accaduta all’interno del cambio, i rottami degli ingranaggi spaccati non andassero a guastargli il resto. La Porsche argentea di Bonnier fili urlando in 5” alla massima velocità lungo il rettifilo di Buonfornello; riusci a sgattaiolare nelle curve finali fino alla svolta secca che la toglieva dal lungomare; sinistra, destra, il piccolo rettilineo fino al passaggio a livello, poi la esse sinistra-destra sotto quei benedetti alberi, acceleratore a  fondo, curva a sinistra nella zona delle tribune, sotto lo striscione d’arrivo e la bandiera di fine gara. Il capo della squadra Porsche, Fritz Huscke von Hanstein, alzò gli occhi dai suoi cronometri e dalla carta del giro: 6h 55’45”1 per la coppia Bonnier/Abbate; almeno 6 minuti di attesa per Mairesse, se avesse vinto Bonnier. Il belga matto di Ferrari stava filando a tutta velocità lungo il rettifilo del Buonfornello, con il V6 che cantava felice alle sue spalle. In quelle curve veloci che si alzavano dolcemente dalla litoranea, affrontate a tutta velocità, toccò prima uno dei bordi, poi quello opposto. Gli avevano dato il tempo di distacco a Polizzi e a Campofelice: sapeva di essere al limite, o la va o la spacca, ma era in testa, era decisamente in testa, e sapeva che stava per vincere la Targa Florio per sé, per la ferrari e per tutti gli sportivi italiani. Con i nervi tesi allo spasimo spinse troppo, di un filo, all’ultima grossa curva. Improvvisamente la Ferrari si mise a sbandare di coda sull’asfalto bagnato, e mairesse non ebbe il tempo di riprenderla. Nonostante il controsterzo alla disperata, la rossa Ferrari andò a sbattere, in un fracasso di alluminio che si accartocciava. Annichilito, Mairesse innestò la 1^, rimise l’auto in strada e rilasciò la frizione riprendendo a tutto gas. Sarebbe riuscito a farcela, nonostante tutto? L’urto aveva fatto saltare i ganci del cofano, che si spalancò al primo sobbalzo; il risucchio dell’aria lo fece capovolgere, sventolare e rimbalzare. Ma non c’era, naturalmente, tempo per fermarsi e richiuderlo… La bomba esplose ancora una volta nel cielo per annunciare il suo arrivo. Mairesse piombò sulla dirittura d’arrivo con il cofano che sventolava nella scia, a soli 12 secondi… Jo Bonnier e Carlo Mario Abate avevano vinto per la Porsche una memorabile e drammatica Targa Florio.